Boicottare il cedro di Calabria per colpire Israele?
Ma la produzione va per lo più in America

Prima ci ha provato il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo (presidente Gruppo Misto): sospendere i rapporti commerciali tra la Calabria e Israele. Ma non gli è andata molto bene. Più rumore ha fatto la petizione promossa da Pina Condò. Nella sua qualità di esperta di comunicazione politica, si legge nei vari resoconti della notizia. E’ evidente che qui, più che una comunicazione, c’è una posizione politica. Perché non li fai firmare così oltre cento sindaci tra i quali, quello che ha suscitato più perplessità, è Ugo Vetere, il sindaco di Santa Maria del Cedro, che sbarra l’approdo dei rabbini di tutto il mondo che qui arrivano da tempo immemorabile per l’acquisto dei frutti migliori per la tradizionale festa ebraica del Sukkot.
Sulla scelta dei cedri migliori, già selezionati nella qualità (Diamante) è stata costruita negli anni un narrazione che ha contribuito non poco a caratterizzare l’identità dell’alto Tirreno cosentino come terra di produzioni di pregio, in verità sempre più ridotte, con prezzi da gioielleria più che da agrumeto, e con un contorno di ritualità simbolica su parole chiave come “pace”, “integrazione religiosa”, “ponti” e “dialogo”.
Pace e ponti tra la Calabria e l’altra sponda del Mediterraneo, non sempre tra un comune e l’altro della stessa riviera. Diamante (la città, non la qualità del cedro), quando era sindaco Ernesto Magorno, riconobbe la cittadinanza onoraria alla senatrice Liliana Segre che divenne anche la presidente onoraria del comitato promotore della candidatura a capitale italiana della cultura. Il cedro, la sua storia e le sue nerbature oltre il Tirreno furono una parte centrale del dossier di candidatura. È così dall’inizio degli anni Cinquanta, quando il rabbino Moshe Lazar tutte le estati cominciò ad andare in Calabria proprio per controllare che i frutti per il Sukkot fossero «puri» secondo le regole ebraiche, cioè nati da piante senza innesti. «Fino ad allora i contadini li vendevano a un solo negoziante, che a sua volta li rivendeva a dei commercianti di Genova che li esportavano poi in tutto il mondo. Finché a un grossista che stava a Lugano venne voglia di venire fin qui a vedere. Quando arrivò, scoprì che i cedri erano stati innestati con l’arancio amaro e lanciò l’allarme a tutti. Da allora veniamo personalmente», raccontò Moshe Lazar alla Stampa, una decina di anni fa. Fin qui storie più o meno conosciute.
La notizia della petizione dei sindaci ha fato reagire sia il consorzio dei produttori del cedro sia l’Uncem, l’Unione nazionale delle province ebraiche. E già si potrebbe discutere del senso della parola “pace”, con una posizione politica che tende a costruire muri piuttosto che ad abbatterli. Una storia speculare a quella che vede coinvolto, in Campania, uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo, il russo Valerij Gergiev, invitato per un concerto a Caserta e finito nel mirino degli oppositori della propaganda putiniana.
Ma poiché il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, pochi hanno avuto lo scrupolo di andare a verificare gli effettivi rapporti commerciali tra la Calabria e Israele. Perché, bastava fare una piccola ricerca per sapere che i cedri del Tirreno cosentino vanno, sì, alle comunità ebraiche, ma quasi esclusivamente a quelle americane, in Russia, in Ucraina, o restano in Italia, tra Roma e Milano. In Israele ne arrivano pochissimi, intanto perché lì pure si producono e poi perché quelli calabresi sono ritenuti di eccellente qualità ma costosi. La produzione del cedro di Calabria va dunque ovunque nel mondo alle comunità ebraiche tranne che, o sicuramente non in prevalenza, nello Stato di Israele.
L’export calabrese è anche altro. Ma pensare di boicottare il cedro per colpire Israele è non solo discutibile, ma inutile, improduttivo. Gli unici che sarebbero colpiti sarebbero gli ebrei sparsi nel mondo e la loro ritualità religiosa. Alla faccia di chi dice che una cosa è Netanyahu e altro il popolo ebraico. (redazione@corrierecal.it)
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