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sette giorni di calabresi pensieri

Reset e Rimborsopoli, sulla criminalizzazione della politica e del trarre vantaggio delle sventure altrui

I venti estivi calabresi portano miasmi di malagiustizia. In Calabria si tira a campare. Senza buona Giustizia si campa male e si vive peggio

Pubblicato il: 19/07/2025 – 7:00
di Paride Leporace
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Reset e Rimborsopoli, sulla criminalizzazione della politica e del trarre vantaggio delle sventure altrui

Scrive lo storiografo Orosio, in un suo dimenticato e robusto libro, della pestilenza esplosa a Roma a 384 anni dalla sua fondazione richiamando in causa «quando il dovizioso autunno produce frutti malefici e dai monti boscosi della Calabria spirano venti portatori di miasmi».
Il paragone de “Le storie contro i pagani” mi viene utile ai “venti portatori di miasmi” estivi poco commentati o raccontati a Roma e Milano dopo l’assoluzione al processo Reset dell’ex sindaco Marcello Manna e dell’assessore Munno e degli imprenditori Ariosto Artese e Vittorio Toscano, dall’accusa di essere teste di legno o peggio teste di rapa dei clan locali. Da aggiungere alla cronaca di queste ore del controverso verdetto sulla Rimborsopoli calabrese, vicenda risalente all’anno domini 2015 in piena era della Casta e dei “vaffa” di Grillo..
Anche l’autorevole Foglio, bibbia militante antigratteriana, affaccendato a cementare garantismo sull’inchiesta milanese sul cemento di Sala e i 70 indagati, non si è ancora espresso sul verdetto del processo Reset mentre abbiamo pattuglie di influencer digitali con il ditino alzato contro le procure antimafia soprattutto quella gratteriana che governò a Catanzaro. Ben sappiamo che l’influencer afferma un’idea preconfezionata come un prodotto mentre il giornalista cerca di leggere e capire quello che accade nella complessità.
Torna attuale il tema di chieder scusa agli innocenti processati a mezzo stampa e lapidati da avversari politici con marce legalitarie e coltelli digitali.
Senza voler salire su inutili piedistalli mi sembra giusto che ognuno si richiami alle proprie azioni sulle questioni di Rende mafiosa, paramafiosa, presunta mafiosa. Rispondere innanzitutto del proprio agire e ricordare al lettore che io pochi mesi fa così raccontavo delle questioni arrivate a sentenza di popolo. Mi sembra giusto rievocare anche un dialogo a distanza avuto oltre un anno fa con l’assolto sindaco di Rende, Marcello Manna, estraneo a collusioni di ogni consorteria ipotizzata.
Quella dialettica politica, penale e civile, ci riporta al complotto per stare alle tesi di Manna. Oggi da assolto anche nel processo “Malarintha” Manna derubrica il “complotto” a “uso spregiudicato delle indagini” che è altra questione. Meno male che i processi hanno ancora una dialettica a differenza degli scioglimenti degli scienziati del governo e delle prefetture. Un senso comune, addirittura condiviso da magistrati democratici, concorda nel ritenere lo scioglimento dei consigli comunali per mafia un provvedimento liberticida e inutile, e sulla vicenda parlamentari e politica calabrese balbettano. E a Rende, la città sede di una delle Università più prestigiose d’Italia come certifica il Censis, non si riuscì ad evitare l’onta della lettera scarlatta mafiosa perché in molti agirono in nome dell’opportunismo politico.
All’avvocato Manna tocca ricordare l’inciampo giudiziario del caso Petrini avvenuto lontano da Rende e ci sforziamo di comprendere se anche qui fu complotto o uso spregiudicato delle clamorose indagini per come ancora si difende l’ex sindaco di Rende.
Qualcuno sbaracca con troppo fretta il processo Reset ad un flop assoluto. I cronisti i quali analizzano in dettaglio i verdetti riportano circa sessanta condanne e circa altrettante assoluzioni per i clan di Cosenza. I più tassonomici ci informano di 58 condanne e 63 assoluzioni. Sono state inflitte pene per 4 secoli. L’inchiesta è riuscita a piazzare cimici nei salotti di capi e gregari inchiodando responsabilità di chi ha preferito patteggiare. In questo origliare le vite degli altri da parte degli inquisitori emersero contesti, millanterie, promesse da marinaio che hanno condotto a sospendere libertà ingiustamente e a condizionare la vita pubblica. Giovanni Falcone, per far un buon esempio, se doveva indagare un politico o un imprenditore era solito essere molto prudente se non aveva nel carniere prove schiaccianti. Va ricordato che l’attuale sindaco Sandro Principe, in passato rimasto impigliato nello stesso reato e negli stessi contesti che alla fine sembrano sempre uguali, non ha molto pigiato sui tasti del giustizialismo a differenza di alleati molto a loro agio in certo giacobinismo da teste tagliate.
Resta il dubbio se la mafia a Rende operi ancora o se è un fantasma che vive di spaccio e malavita. Sandro Principe è tornato a fare il sindaco a furor di voto popolare. Alla questione si dovrebbe dedicare la politica comunale a fronte di un’urgenza importante almeno quanto l’isola pedonale di via Rossini.
Sandro Principe assolto anche dalla rimborsopoli regionale. Per stare ai nomi noti assolti dalla più grave accusa per un politico che e’ quella di lucrare sul denaro pubblico, ci scusi il gruppo, ma spiccano i nomi di Agazio Loiero, Nicola Adamo e Carlo Guccione.
All’assolto Guccione l’inchiesta turbò la vita venendo defenestrato da assessore. Su questi tre lustri passati sui carboni, Guccione parlerà in conferenza stampa lunedì prossimo con i suoi avvocati. Forse torneranno antiche questioni politiche quando Mario Oliverio, non ancora inseguito da indagini e magistrati, veniva chiamato da Guccione “garantista con lo sterzo” anche per averlo sollevato da assessore per un avviso di garanzia. Troppe parti in commedia nel corso di questi anni tumultuosi.
E a vedere la cabala, solo la cabala e non i complotti, è ancor meno le diversità antropologiche inesistenti, nel verdetto di Rimborsopoli i condannati sono Luigi Fedele politico di lungo a antico corso di Forza Italia, e poi Giovanni Nucera, Pasquale Maria Tripodi, Alfonso Dattolo, Giovanni Bilardi e Carmelo Tripano che assieme si sono messi sul groppone condanne per 25 anni di carcere complessivi quasi fossero una cosca politica. Tutti di destra per caso o per confusione? Non sappiamo ancora se fu dabbenaggine o furberia e che accadrà in altri tornanti di processo. Gli storici che verranno forse ci aiuteranno a capire l’innocenza di Adamo e Guccione come sia stata diversa dalla colpevolezza del carneade Alfonso Dattolo.
I venti estivi calabresi portano miasmi di malagiustizia. In Calabria si tira a campare. Senza buona Giustizia si campa male e si vive peggio.

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incendiata auto eugenio madeo

A San Nicola Arcella splendido comune del Tirreno cosentino l’altra notte hanno incendiato l’automobile del sindaco Eugenio Madeo. Madeo forse per tattica e certo non per paura ha riferito di non aver sospetti su nessuno ma che ai carabinieri racconterà dei suoi ultimi incontri per “consentire tutte le indagini possibili” e qui la cronaca diventa pagina sciasciana da confrontare con pastoni tutti uguali di solidarietà scontate e anche pelose. A legger bene la notizia tra le righe si trova da pedinare. Lo scorso 10 luglio, il sindaco Madeo in consiglio comunale ha detto di essere stanco ed ha invitato i consiglieri a lavorare alla luce del sole. Un discorso da amministratore poco tranquillo. Aggiungiamo che il sindaco ha anche scritto una delibera su dei beni confiscati.
Madeo è politico esperto di lungo corso. Forgiato nel Pci, è stato presidente della Provincia e. Consigliere regionale. La sua auto non è bruciata per caso.
A San Nicola Arcella è bene tenere i fari puntati dell’informazione. Non è il caso di tirare a campare sull’automobile bruciata ad un primo cittadino. (redazione@corrierecal.it)

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