Loiero dopo la sua assoluzione in “Rimborsopoli”: «Ma il pregiudizio è una condanna»
L’ex presidente della Regione Calabria: «Un processo molto lungo rappresenta già una condanna implicita per qualunque cittadino»

CATANZARO «Un processo molto lungo rappresenta già una condanna implicita per qualunque cittadino. Per un calabrese spesso diventa una macchia permanente per il resto della vita. E questo capita spesso indipendentemente dall’esito del processo». Agazio Loiero, ex ministro, ex sottosegretario, più volte parlamentare e già presidente della Regione Calabria, è fra le persone assolte in primo grado nel processo scaturito dall’inchiesta “Rimborsopoli” della procura della Repubblica di Reggio Calabria, relativa a presunti illeciti nella gestione dei rimborsi ai gruppi consiliari del Consiglio regionale della Calabria nella legislatura 2010-2012, per l’ex ministro e governatore, però, il peso degli anni trascorsi ha lasciato un’eredità pesante. Si è difeso nelle aule del tribunale anche presentando una memoria sui difficili anni passati alla guida del governo regionale, segnati da eventi traumatici come l’omicidio di Domenico Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale assassinato davanti a un seggio a Locri in cui si votava per le primarie dell’Ulivo. «Devo dire – spiega ripercorrendo le tappe del processo – che ho trovato tanta attenzione da parte della Presidente, del collegio e anche della pubblica accusa. Segno che c’era una certa consapevolezza che un processo interminabile, lungo circa quindici anni, è destinato quasi sempre a falsare il valore di una sentenza. Il tempo accelerato di questi ultimi, frenetici anni finisce involontariamente ma implacabilmente per incidere in forma vertiginosa sul ritmo ma anche sul senso della nostra vita. Confesso che ho avvertito un po’ di titubanza a rendere una dichiarazione spontanea ma i miei eccellenti avvocati (e anche grandi amici) Guido Calvi e Nicola Cantafora, mi hanno consigliato di non sottrarmi a questo impegno. Ho esposto alcuni fatti della mia vita secondo me non estranei al processo. Ho esposto una breve cornice storiografica e di costume, sperando di non andare fuori tema. Sono stato – ho iniziato a raccontare – com’è noto, presidente di questa difficile regione. Ho subìto minacce, ho ricevuto proiettili in abbondanza, ma anche inchieste giudiziarie, che, per mia fortuna, si sono concluse favorevolmente in tempi non lunghi. Ho anche dovuto registrare con dolore, che, malgrado il lungo tempo trascorso, ogni volta si rinnova, l’omicidio del mio amico Fortugno, avvenimento rispetto al quale il procuratore nazionale antimafia del tempo, Pietro Grasso, e il Pm d’accusa del relativo processo di primo grado hanno affermato che il destinatario di quel tragico messaggio ero io».
«Il pregiudizio è una condanna»
Loiero spiega: «Ho fatto queste considerazioni del tutto estranee al processo in corso, per le quali mi son pubblicamente scusato, per ribadire che, forte di questo macabro lascito, ho affidato – legge regionale alla mano – a due persone di fiducia la stesura meticolosa delle spese e dei rimborsi. Poi ho delegato a un mio grande amico magistrato che stimo oltre misura, la supervisione del testo. Ho appagato così la mia nota paranoia. Ho aggiunto solo due altre cose. Aspetto con sofferenza da oltre quattordici anni l’esito di questa vicenda giudiziaria. Avrei potuto disporre di numerosi altri testimoni, ma ho contribuito a snellire i tempi del processo in favore di una sentenza da ottenere nel più breve tempo possibile perché l’attesa del verdetto, oltre a stressarmi, mi penalizza non poco. Il fatto di avere svolto in passato un certo ruolo politico – sottolinea l’ex ministro e governatore – mi ha condannato ad apparire spesso sulla stampa con una foto che il fluire del tempo, di anno in anno ingialliva, nel ruolo di imputato. Evento, questo, che ha stremato me e la mia famiglia che segue, fin dal tempo delle minacce, con una certa apprensione la mia vita anche in questi anni in cui, mio malgrado, l’attività politica, a causa di questo processo, non la svolgo più. Non senza sofferenza perché la politica è una febbre che, una volta contratta, è impossibile scacciarla dai gesti, dai pensieri, dalla vita. Una sofferenza, comunque, neanche lontanamente paragonabile a quella della mia famiglia in tutti questi interminabili anni. Si soffre infatti sempre con quelli che soffrono della vostra sofferenza. Con un sotteso senso di colpa per averli fatti piombare in questo sconfinato ingorgo esistenziale». Loiero sottolinea gli stereotipi che sugli abitanti della regione «pesano da secoli». Stereotipi, dice, «incancellabili, accentuatisi negli ultimi tempi. Spesso anche dopo una sentenza liberatoria, sul calabrese assolto, il pregiudizio comunque resta. Esiste infatti un meccanismo psicologico che caratterizza lo stereotipo. Tutte quelle azioni che sembrano confliggere con lo stereotipo, la mente solitamente le respinge. Tutte quelle invece che, lo stereotipo, lo asseconda, la mente le accoglie con voracità”. Alla fine del primo anno da Presidente della regione, nella classifica di merito stilata tutti gli anni da “Il Sole24 ore”, Loiero, ricorda, era al primo posto, «diffondendo sorpresa specie nel mondo politico del Nord del Paese. Nel corso del secondo anno – aggiunge – ho ricevuto uno scriteriato avviso di garanzia che ebbe un non comune risalto su tutta la stampa nazionale». Scriteriato, spiega, «perché il Pm di Catanzaro che lo aveva emesso, mesi dopo, non si presentò davanti al Gip per sostenerlo. Il Pm di udienza che arrivò a sostituirlo, dopo qualche settimana di approfondimenti del fascicolo, affermò testualmente che “neanche per sbaglio” Loiero poteva essere coinvolto in quella vicenda. Il Gip immediatamente – ricorda – mi prosciolse: alla fine del secondo anno però “Il Sole 24 ore” mi posizionò all’ultimo posto della nuova classifica. All’ultimo, non al penultimo. Il pregiudizio era tornato ad aleggiare prepotente su di me e sul territorio che rappresentavo. Nei restanti tre anni – conclude – ho dovuto fare salti mortali per scalare di nuovo quella classifica e attestarmi in una posizione abbastanza dignitosa». (AGI)
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