Megghiu ca ti stai quetu…
di Nunzio Raimondi

Quando ero ragazzo si rispettavano ancora le misure e, sebbene l’individualismo esasperato iniziava a far capolino, si trattava pur sempre di casi eccezionali, da relegare a quella minorità trattata con indifferenza prim’ancora ancora che con insofferenza.
Questa indifferenza valeva ancor di più a marcare la distanza fra coloro che potevano parlare e quelli che, invece, sarebbe stato preferibile che rimanessero in silenzio.
Tanto che, quando qualcuno appartenente a questa seconda categoria commetteva l’errore di parlare in pubblico, qualche persona di buona volontà (in mezzo ai tanti che godevano per la figura barbina del povero malcapitato…), si affrettava a consigliarlo, quantomeno per evitargli la distruzione completa della reputazione.
Dalle mie parti si usava l’espressione: “megghiu ca ti stai quetu…”.
Ora, nove volte su dieci, l’invito cadeva nel vuoto perché l’opinione (di se’) del propalante superava perfino il buon consiglio, ma una volta ogni tanto l’invito coglieva nel segno e, perfino l’egocentrismo più sfrenato, ne risultava almeno un po’ contenuto.
Oggigiorno, con l’imperante “dittatura della cazzonaggine”, peraltro inaugurata proprio da persone che quel consiglio non lo vollero in alcun modo recepire, l’imbecillità è divenuta ubiqua e, a mio modo di vedere, proprio a causa dello sdoganamento della cretineria.
Nel senso che l’indifferenza, quale metodologia per isolare la stoltezza, anziché relegare quest’ultima ai confini dell’accessibile, l’ha invece gradualmente approvata rendendola, da esclusiva che era, per così dire inclusiva ed ora perfino accettabile.
In un profluvio di dichiarazioni, meditazioni, riflessioni inconcludenti, proposte (che definire oscene sembra modesto, perché completamente ignare quantomeno del contesto e talora perfino della storia patria…),si assiste ad un degrado della libera manifestazione del pensiero che lascerebbe perfino i padri costituenti un po’ “perplessi”, per usare una felice espressione di un grande intellettuale calabrese (purtroppo un po’ cattivello; che,s e se solo fosse un po’ più buono, sarebbe praticamente perfetto…).
Tuttologi, liberi dalle catene, discettano dello scibile umano senza preoccuparsi di ciò che affermano ma, all’evidenza, per l’esclusivo bisogno di apparire: una propaganda a buon mercato, frutto di un individualismo libertario oramai senza freni.
Sennonché forse è arrivato il momento di dire che le idee non si comprano sulle bancarelle del mercatino: esse sono frutto innanzitutto di robusta cultura di base (basta per favore con politici che incespicano sui verbi ausiliari…),di analisi non imprecise e distratte, non trascurate e scorrette, ma scrupolose, sopratutto diligenti, perché chi manifesta il proprio pensiero non può disporre di questa libertà per “sparare cazzate”.
Così come la libertà di ciascuno, sancita solennemente dalla Carta, trova il suo limite nella libertà dí tutti, anche la libertà di manifestazione del pensiero trova il limite, non nella libertà di stampa (che non sopporta censure), ma “neminem laedere”, ossia nell’obbligo di evitare comportamenti che possano danneggiare gli altri, sia in modo doloso che colposo.
Si dirà: ma ognuno ha diritto di dire ciò che vuole e, perfino le cazzate, spesso rendono la conversazione interessante e sicuramente piacevole.
E poi, se io “sparo cazzate”, perché mai violerei quest’obbligo…in fondo chi danneggio?
Certo non penso che lo “sparare cazzate” costituisca una forma di molestia intellettuale e ciò per la semplice considerazione che la comicità non guasta mai nella vita, ma, come si dice per le facezie,” il troppo stroppia” e le libertà costituzionali non tollerano esagerazioni ma semmai moderazione.
Ecco che già lo vedo lo sfidante che non si avvede delle proporzioni:
E poi perché non mi rispondi e codeste “cazzate” non le contrasti?
Come si può vedere si torna punto e a capo: indifferenza, che svincola la cretineria, o la discussione, il dialogo, che dimostra la resistenza delle idee?
Tutti sanno che io sono uno dei più fieri sostenitori del contraddittorio -ed è per questo che, in fondo, imputo all’indifferenza mirata, al silenzio eloquente, la responsabilità dello sfacelo mediatico nel quale versiamo…-, ma devo ammettere che Oscar Wilde aveva proprio ragione quando sosteneva che è impossibile discutere con un idiota; egli ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza.
Per questo “grido alla luna”, non sono indifferente, cari lettori: ma non mi ci metto proprio con costoro e lascio che la gente si faccia la propria opinione di loro e, poiché non sono cattivo e vorrei perfino il loro bene, ripeto:
“megghiu ca ti stai quetu”.