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I rifornimenti di coca e marijuana a Gioia Tauro, le minacce per la droga non pagata. Il pentito: «Mi aspettano sotto casa»

Il collaboratore ai pm racconta dei traffici con un calabrese. «Ci vendeva la cocaina 150 grammi alla volta». L’affare gestito via social dal boss in carcere

Pubblicato il: 24/07/2025 – 18:28
di Giorgio Curcio
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I rifornimenti di coca e marijuana a Gioia Tauro, le minacce per la droga non pagata. Il pentito: «Mi aspettano sotto casa»

LAMEZIA TERME «Devo delle somme di denaro a dei soggetti calabresi e catanesi che mi stanno minacciando di morte», anzi «mentre sto rendendo dichiarazioni, gli stessi si trovano sotto casa mia ad attendere il mio arrivo». È iniziata così la collaborazione con la giustizia di Giovanni Gangemi, fino a quel momento «al servizio del clan Mangialupi» e le cui dichiarazioni hanno contribuito a ricostruire il quadro accusatorio della Distrettuale antimafia di Messina, fino all’arresto di 14 soggetti su ordine del gip.

I contatti con Raso

Il suo percorso di collaborazione è stato poi formalizzato poco più di un anno fa, il 20 giugno 2024. Secondo i primi racconti, dunque, Gangemi aveva un debito di 30mila euro con «Filippo Raso di Gioia Tauro, dove io mi sono recato per acquistare cocaina». Raso, classe 1969 di Taurianova, è tra gli arrestati finiti in carcere nel blitz della Polizia di Stato. Per gli inquirenti, lo spaccato dettagliato e inquietante descritto da Gangemi si è ulteriormente arricchito di dettagli nelle verbalizzazioni successive. Il pentito, a proposito di Filippo Raso, racconta alcuni particolari. «Circa sei mesi addietro, forse anche sette o otto, tramite WhatsApp sono stato contattato da Santino Di Pietro, all’epoca detenuto (…) Filippo Raso si stava molto lamentando in quanto il gruppo aveva contratto un debito di circa 28mila euro per l’acquisto di marijuana e cocaina».



Il debito da “smaltire” e il “no” del calabrese

Insomma, a Gangemi il boss Di Pietro aveva chiesto di provare a proporre al calabrese di continuare a mandare la cocaina che, il gruppo, avrebbe pagato di volta in volta applicando una sorta di rincaro per “smaltire” il debito pregresso di 28mila euro. Una proposta (assurda) che Raso però avrebbe prontamente rifiutato. Secondo il racconto del collaboratore, Raso avrebbe anche chiesto informazioni sul suo indirizzo. «Filippo Raso si è presentalo presso la mia abitazione e io gli ho comunicalo che non gli avremmo dato soldi perché lui non intendeva più rifornirci di sostanza stupefacente», scatenando l’ira del calabrese.
I fatti, però, prendono una piega migliore nei giorni successivi.

L’accordo: 3mila euro al mese e nuova droga

Già perché il gruppo, dopo aver contatto il boss in carcere tramite una videochiamata su Instagram, riesce a trovare una accordo col calabrese: 3.000 euro al mese per pagare il debito e la possibilità di continuare ad acquistare droga dai calabresi. Come raccontato dal pentito, Raso lo avrebbe poi invitato a recarsi a Gioia Tauro «per valutare l’acquisto di una partila di marijuana» e così «il giorno seguente mi sono recato a piedi a Villa San Giovanni dove mi aspettava Raso insieme ad un altro signore di circa 60 anni (…) ci siamo recati a Gioia Tauro a bordo dell’auto di Raso e, una volta giunti presso un terreno, mi ha mostrato la marijuana della quale disponeva». Il pentito parla di poco più di 20 chili, poi acquistata, con la richiesta di consegnarla direttamente a Messina, al prezzo di 1,5 euro al grammo. Marijuana, però, di scarsa qualità che Gangemi non sarebbe riuscito a spacciare, ritardando così il pagamento al calabrese. Raso – sempre secondo il racconto di Gangemi – gli avrebbe proposto di acquistare allora cocaina, «l’ultimo acquisto è stato effettuato nell’aprile 2024 anche perché Filippo Raso era rimasto l’unico fornitore del gruppo», concordando la cessione di 150/200 grammi alla volta di cocaina.
Tempi di pagamento? Una settimana. Poi, però, a maggio 2024 la situazione precipita quando Raso avrebbe preteso da Gangemi il pagamento di quella vecchia partita di marijuana giudicata di “scarsa qualità”. Fino alle minacce di morte sotto casa e la scelta, quasi obbligata, di collaborare. (g.curcio@corrierecal.it)

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