La statua di Giacomo Mancini a Palazzo De Matera a Cosenza vecchia
Breve storia di un rapporto ombelicale con il socialismo di Piazza Vergini e l’aristocrazia di salita Liceo

La statua del maestro Sepe di Giacomo Mancini, secondo una tradizione cosentina che vede le sue sculture vagare per la città (Bernardino Telesio, le Colombe di Baccelli, la fontana di Giugno), è stata collocata per volontà del figlio Pietro e del nipote Giacomo junior nell’antro del palazzo di famiglia.
Nonostante il caldo torrido tanti semplici cittadini e mondo politico hanno voluto partecipare alla nuova inaugurazione avvenuta il 25 luglio, giorno di San Giacomo, testimoniando adesione e condivisione verso una figura identitaria e carismatica che in effige non meritava di essere abbattuta e sloggiata per imposizione sindacale.
La statua di Mancini ora sta a Cosenza vecchia, toponimo popolare di un’appartenenza molto sentita dal più autorevole politico calabrese del Novecento.
Giacomo Mancini, per sua espressa volontà, volle andare a morire a Palazzo De Matera, là dove era morto suo padre Pietro, il primo deputato socialista di Calabria e Basilicata, volendo che anche il suo feretro uscisse dal retro del palazzo del suo papà. In quel palazzo Giacomo aveva vissuto i suoi ultimi anni fecondi, nelle stesse stanza dove il padre Pietro malato nelle diottrie ma lucido con la testa si faceva leggere i giornali da vecchi compagni e dal nipote Pietro.
Era il lunedì dell’Angelo del 2002 quando Giacomo Mancini non volle più restare all’Ospedale dell’Annunziata per le sue ultime ore di vita.
Era voluto tornare a quell’antica casa patrizia con una biblioteca ricca di volumi unici, ammobiliata da sofà in velluto rosso su cui è passata la storia di Cosenza e dove si sono seduti diversi italiani celebri.
Giacomo aveva voluto morire davanti al vecchio liceo Telesio dove si era maturato e dove il padre Pietro aveva insegnato Storia e filosofia.
Giacomo da piccolo aveva abitato con i genitori e con le sorelle nella vicina piazza delle Vergini.
Aveva conservato un rapporto osmotico con quelle radici. Lo confessa al giornalista Matteo Cosenza nel suo libro intervista quando dice: “Ritorno sempre con la mente al mio vecchio quartiere alle Vergini”. Il quartiere della sua fanciullezza. Là dove c’era casa ma anche la sezione socialista e la Camera del lavoro, quella incendiata dai fascisti nel 1922 in una terribile notte cosentina. Su quella porta durante il ventennio resterà però imperitura una scritta a pennello che recitava “Viva Pitruzzu da pinna rossa”. Il nome dialettale testimoniava la popolarità, tra i subalterni, del padre, pinna russa era il simbolo dei socialisti.



A piazza delle Vergini Giacomo iniziava le campagne elettorali e da quello spazio urbano scosceso e monumentale passò il suo corteo funebre scendendo poi per il liceo con i giovani delle cooperative dietro il feretro a ricordare che il nuovo Quarto stato era ancora da quella parte.
La statua è a Palazzo De Matera, nel luogo della famiglia della madre Giuseppina, chiamata da più cosentini donna Peppina. Aristocratica e combattiva quando si vide entrare i poliziotti alla casa delle Vergini al tempo del fascismo li definì “messeri” parlando al telefono con l’avvocato Ernesto Faggiani finendo a processo per aver adoperato quell’eloquio colto e antico.
Era di cultura liberale donna Peppina ma fiera di essere sposa di un parlamentare socialista. La zia Carlotta era stata amica del critico Francesco De Sanctis che era stato precettore in una famiglia cosentina e custodiva una camicia rossa di un garibaldino della sua famiglia quasi a trovar riscontro alle pagine di Tomasi di Lampedusa. Le vicende dei De Matera vanno oltre una vecchia zia e un cimelio risorgimentale.
La schiatta De Matera è una delle principali famiglie della città al pari dei Telesio e dei Castiglion Morelli per secoli alla guida di Cosenza.
Andando a volo di uccello ricordiamo che Francesco De Matera fu capitano delle milizie filospagnole nel 1528, che il palazzo di famiglia fu incendiato dai cosentini ai tempi della rivolta di capitan Peppe ovvero Giuseppe Gervasi e nei secoli si tramandarono nomi e gesta presiedendo banche nel ‘900 e vendendo i terreni del loro latifondo per la nuova urbanizzazione.
Giacomo Mancini custodiva nella sua timidezza di carattere un’aura nobile di casata legata all’imponenza di statura e al carisma. Un segno di quello che Luca Addante ha definito “protagonismo secolare” di famiglia la quale aveva fuso con successo borghesia e antica nobiltà.


Piazza delle Vergini era la memoria del popolo, mentre Palazzo De Matera era la storia antica della città.
La statua di Giacomo Mancini, va detto, viene collocata davanti ad un palazzo con portale in pietra e tre stemmi di gusto rinascimentale edificato con architettura catalana che sorge in un comparto urbanistico tra i più rappresentativi della città vecchia per qualità architettonica.
Lo splendido isolato che già compare in un disegno del 1595, è la genesi dei palazzi Cavalcanti, Quintieri, Amato-Siniscalchi e De Matera che nei secoli sostituirono le antiche particelle che spuntavano tra via Liceo e corso Telesio.
Da sindaco Mancini volle andare ad abitare in quel palazzo per memoria familiare e per messaggio politico considerato che temeva che i cosentini dimenticassero da dove provenivano.
A Cosenza vecchia, Giacomo Mancini aveva voluto il centro studi intitolato al padre poi diventata sede di Telecosenza, la prima libreria Feltrinelli a corso Telesio e, da primo cittadino, con una politica dei contributi per l’acquisto di case e apertura di attività commerciali si era intestato l’ultima bella stagione dell’abbandonato centro storico.
Anche nei periodi in cui soggiornava all’hotel Europa e quando visse per un breve periodo a via Roma a Cosenza nuova preparando le comunali del 1993 non aveva mai interrotto il rapporto con le sue origini. La notte della vittoria del ballottaggio il 5 dicembre era voluto andare a festeggiare con i suoi più stretti sostenitori al gran caffè Renzelli di corso Telesio.
Oggi che la fondazione che porta il suo nome sorge tra piazza dei Follari e la calata della Corda e che la casa patrizia è diventata per volontà di Giacomo junior che ci vive con la famiglia una magnifica casa di charme c’è anche la sua statua.
Quella di Giacomo Mancini, cosentino illustre di Cosenza vecchia. (redazione@corrierecal.it)

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