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l’appello

Padre Fedele, lettera al vescovo di Cosenza: «Nessun piagnisteo se muore da eretico»

Il testo duro e diretto del giornalista Mario Campanella a Giovanni Checchinato: «E’ stato assolto, ma resta escluso dal sacerdozio. Si agisca subito»

Pubblicato il: 31/07/2025 – 11:19
di Mario Campanella*
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Padre Fedele, lettera al vescovo di Cosenza: «Nessun piagnisteo se muore da eretico»

COSENZA In una lettera aperta indirizzata al Vescovo di Cosenza, sua Eccellenza Giovanni Checchinato, il giornalista Mario Campanella interviene con forza in merito alle condizioni di salute di Padre Fedele Bisceglia, oggi ricoverato in gravi condizioni. Le sue parole, vibranti di tensione morale e civile, chiedono un atto di riconciliazione da parte della Curia nei confronti di una figura – a detta di Campanella – oggi profondamente emarginata.
«Non ho il piacere di conoscerla. Anche se un paio di volte ho scritto sulla stampa un modesto appello che altre persone, molto più autorevoli di me, hanno rilanciato e rilanceranno. Nelle prossime ore amici e cattedratici scriveranno sul tema cose molto più sensate», esordisce Campanella rivolgendosi al Vescovo.
La visita fatta nelle ultime ore all’ex frate cappuccino, in compagnia di Sergio Crocco, è il punto di partenza di una riflessione che si fa subito invocazione. «Oggi con Sergio Crocco, che ringrazio, sono andato a trovarlo. Le emozioni provate le tengo per me. Ma lei è il Pastore di un credo che ha fatto del perdono senza vendetta il suo messaggio più bello».
Il giornalista riconosce lo spirito progressista del Vescovo Checchinato, ma gli chiede di ascoltarlo come cattolico: «Lei è un Vescovo progressista. Benedice le coppie Lgbt, interviene contro l’autonomia differenziata. Sono argomenti su cui preferisco non intervenire. Preferisco parlarle da cattolico».
Quindi, il cuore dell’appello, diretto e senza mediazioni: «Padre Fedele sta male. E lei lo sa. Padre Fedele è stato assolto. E lei lo sa. Padre Fedele non può dire Messa e lei lo sa. Padre Fedele è stato derubato di una struttura meravigliosa da lui realizzata e lei lo sa».
Campanella non risparmia accuse alla Curia del passato, che – a suo dire – avrebbe chiuso gli occhi su scandali ben più gravi: «In una Curia che, quando non c’era lei, ha visto criminali travestiti da sacerdoti mangiarsi strutture come quella di Serra Aiello e cavarsela con le dimissioni. Sacerdoti che spendevano 120mila euro l’anno in gioielli mentre i pazienti mangiavano gli escrementi. Una vergogna. Ma la Chiesa li avrebbe persino riaccolti. La Chiesa che accoglie tutti tranne Padre Fedele».
E qui la critica si fa affondo teologico e morale: «La Chiesa che dovrebbe perdonare 70 volte sette non condona a un sacerdote la disubbidienza del passato». Campanella sceglie di non ripercorrere nel dettaglio le vicende giudiziarie di Padre Fedele, ma tiene a sottolineare che solo l’abilità di alcuni avvocati ha reso possibile una verità processuale diversa da quella inizialmente narrata: «Sorvolo per carità di patria sul processo a Padre Fedele. Solo la bravura di Franz Caruso ed Eugenio Bisceglie consentì di trovare la verità. Perché chi imbastì quella indagine, a tutti i livelli, è stato ovviamente promosso. Ma questo è tema di Cesare, non di Dio».
Infine, la lettera si conclude con un ammonimento duro e commosso: «Se Padre Fedele morisse domani, da sospeso a divinis, sarebbe cosa buona che nessuno della Curia compisse il rito retorico e ipocrita del piagnisteo».
E ancora: «Padre Fedele merita semplicemente di dare senso alla sua sete e alla sua vocazione. E lei non può girarsi dall’altra parte. Lo faccia ora. Subito. Dopo, sarebbe solo un pentimento tardivo».
Con tono dolente e sincero, Campanella invita alla preghiera, pur da posizioni diverse: «Preghiamo (io da scettico lei da illuminato) che migliori. Ma se muore da eretico abbiate il pudore almeno di non piangerlo». (redazione@corrierecal.it)

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