Dove sta Zazà. Cronaca ferragostana del centrosinistra calabrese tra banda di Pignataro e Whatsapp in libertà
Padre Fedele e il Papa Giovanni XXIII. Parla il magistrato Eugenio Facciolla

“Dove sta Zazà?” Prendo a metafora la celebre canzone napoletana per trasformarmi nel narratore Isaia e raccontarvi delle ambasce di Ferragosto dei dirigenti calabresi e nazionali alla ricerca di un candidato presidente che possa sfidare Roberto Occhiuto. Zazà della versione Gabriella Ferri, quella che ha trasformato la corale allegria delle precedenti in un inno della solitudine tanto simile a quella che interessa l’Irto segretario del Pd e tutto il cucuzzaro di dirigenti e delegazioni. La metafora è dettata dalla banda di Pignataro con diretto riferimento al compagno Ferdinando di Sinistra Italiana che ha suonato in queste ore “il Parsifallo” nel senso più wagneriano del termine con le sue storie di cavalieri che cercano il sacro Graal che poi è una Zazà mitologica. Pignataro già leader della Cgil calabrese alla testa di migliaia di corregionali alla mobilitazione di Cofferati, poi deputato al tempo di Prodi, ha pensato di essere trasparente con i suoi compagni diffondendo un audio che ha mostrato in tutte le sue nudità il possibile Zazà. L’ormai celebre audio invece di essere diffuso al ristretto politburo della direzione, per scarsa dimestichezza di social è stato diffuso a tutta la catena di contatti del mondo Avs diventando di dominio pubblico. Se ne è perso il controllo e c’è chi ha pagato per aver tradito il ragionamento che in queste ore di Ferragosto attanaglia sulle decisioni di Tridico, le possibilità di Stasi, le aspirazioni e i veti su Orrico e Baldino, la panchina di Caruso, lo scatto del sindaco di Reggio Calabria, Falcomatà. E quindi dove sta Zazà per il centrosinistra calabrese? Al momento se lo stanno fumando mentre nell’ariostesco campo di Agramante il Cid Roberto Occhiuto avanza con le sue armate. Liste pronte e candidati già pronti alla campagna di agosto con il supervotato presidente del Consiglio regionale Mancuso che ha dimenticato di mettere sul suo santino già diffuso il nome del candidato presidente prestando il fianco a speculazioni sul cambio in corsa prima della presentazione delle liste. Ma è solo un caso. E a sinistra e al centro dello schieramento si cerca Zazà perché ci sarebbe da battere i pugni a sfruttare la cronaca che racconta di un commandos armato che alla vigilia di Ferragosto va a sparare alla porta della celebre discoteca “Il Castello” di Sangineto. E quello che è ancora più grave è che l’attesissimo baccanale del 14 è stato annullato restituendo il costo dei biglietti ai festaioli, a quanto sembra dandola vinta a chi voleva creare danno. Per calcolo e viltà, invece, i cercatori politici di Zazà comunque non avrebbero preso voce sul trasferimento della Festa della Madonna di Polsi dalla Montagna dove il popolo si reca in Aspromonte dai tempi di Alvaro allo stadio di calcio di Locri. Autorità ecclesiastiche e commissari prefettizi hanno tolto a San Luca anche il loro giorno più lungo in nome di Santa ‘ndrangheta che quei tornanti non li attraversa più. Pasquino Crupi e Totò Delfino custodi letterari della devozione dal Paradiso dove si trovano immagino stiano scrivendo frasi al curaro per tanto sacrilegio. Pensa e medita se essere lui Zazà, l’europarlamentare Pasquale Tridico, da quasi tutti atteso ad un sì per essere l’antagonista di Occhiuto. Il professore si trova al fresco della Sila dove aveva programmato il suo Ferragosto in famiglia. Grazie alla scarsa rete telefonica di quella latitudine non risponde a nessuno al telefono, si favoleggia neanche ad Elly Schlein che lo ritiene il miglior Zazà possibile. Il professore Tridico dicono sia molto incavolato per quel pezzo sui cavoletti di Bruxelles e sui no della sua signora scritto dai giornalisti del Foglio che da anni lo killereggiano per essere il padre del reddito di cittadinanza. Raccontano che il presidente Conte abbia indicato come miglior Zazà possibile Tridico senza chiederne disponibilità. Una manovra tattica per aprire la strada alle due parlamentari donne a cinque stelle che, senza scomodare il genere, non ne hanno uguali capacità di consenso. E quindi tutto si imballa e si continua a cercare Zazà. Riunioni anche a Ferragosto, magari domenica. Non esageriamoci, vediamoci lunedì in presenza a Lamezia dopo aver smaltito l’anguria e la sbornia. Il senso comune calabrese progressista e civico che aspetta Zazà non comprende. Vorrebbe un gesto di generosità di Tridico per la sue radici, cambiare il racconto, veder cadere il gran rifiuto per ragioni strettamente personali. Quindi è stasi sul sindaco di Rossano-Corigliano Stasi ad essere Zazà. Piacerebbe anche a Filomena Greco, già sindaca di Cariati, capolista di Italia Viva del raggruppamento elettorale principiano riformista, e che ai compagni di Pignataro ha anche detto che lei non ha nessun problema a sottoscrivere il punto di programma sulla sanità pubblica non preoccupandosi assolutamente degli interessi privati dei suoi fratelli. Zazà è nuda ma senza nome dopo l’ultimo whatsapp di Pignataro. Sarebbe facile assegnarne il ruolo a Dario Brunori per fargliela anche cantare la canzone di Zazà. Ma la politica è sangue e merda come ha detto il compagno Formica. I dirigenti devono buttarci il sangue a trovarla Zazà. Di merda ne abbiamo spalata già troppa in Calabria. Come nella celebre canzone, lunedì, magari accontentavi della sorella.
La morte di padre Fedele nella sua dolorosa vicenda incrocia quella dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra Aiello con le acclamate ruberie ai danni di poveri derelitti. Per non restare nel vago ne ho parlato con il magistrato Eugenio Facciolla che di quei fatti si occupò con coraggio. “Padre Fedele fu l’unico a denunciare davvero ciò che accadeva nell’Istituto, rimase inascoltato dalla Chiesa, dalla Procura, e dalle forze dell’ordine, arrivò a provare ad entrare all’interno ma glielo impedirono in ogni modo. Decise allora di scrivere un atto di denuncia al vescovo, rimasto lettera morta”. Chiedo della politica al magistrato cosentino il quale afferma: “Mestava con chi gestiva per consumare l’ennesima truffa in danno dei malcapitati ospiti ridotti in condizioni terribili, con sospetta coincidenza partiva l’indagine nei confronti di Padre Fedele e io riuscii a sentirlo solo a distanza di tempo quando ormai libero si presentò in Procura con indosso una specie di saio legato in vita con una corda portandomi la copia delle sue denunce”. Fu così che Eugenio Facciola ebbe modo di scoprire che Padre Fedele “era stato l’unico negli anni a denunciare le gravissime condizioni in cui erano tenuti gli ospiti, il dispendio di denaro, e gli agi di don Alfredo Luberto, condannato in via definitiva per quei reati”. Qua sono io a ricordare. Quel don che era nipote di prete illustre non ha ricevuto condanna per essersi impadronito dei ricoverati di Serra D’Aiello. Il reato era prescritto, forse pure sbagliato dissero gli avvocati di parte civile. Un prete che accumulava gioielli, motociclette e quadri d’autore con i soldi dei ricoverati. Non c’è memoria di don Luberto prete ricco che ha preso ai poveri. Ci sarà molta memoria per Padre Fedele per i suoi meriti. Afferma sul punto Eugenio Facciolla. “Non è stato solo un prete ultrà e missionario, ma la persona che in una società inquinata come quella cosentina, nella quale l’apparenza è ciò che conta e la linea di demarcazione tra onesti e farabutti è inesistente, rappresentava una speranza per gli ultimi, un punto di riferimento per i tanti senza voce, la persona sempre pronta ad abbracciare la sua Croce e quella degli altri”. In effetti Fedele non è mai stato un don ma un padre. Fino all’ultimo atto dove con il funerale ha riconciliato il suo popolo con gli epigoni dei suoi carnefici rimasti impuniti. Ne risponderanno almeno a Dio.
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