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Il boss Piromalli voleva cucinare in carcere dopo le 22: il no della Cassazione

La Suprema Corte ha ribadito l’inflessibilità del 41 bis. Anche le abitudini personali devono sottostare alle restrizioni

Pubblicato il: 25/08/2025 – 13:03
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Il boss Piromalli voleva cucinare in carcere dopo le 22: il no della Cassazione

Il carcere di Parma non è un ristorante a orari flessibili, nemmeno per chi si chiama Antonio Piromalli. Il noto esponente della ‘ndrangheta, 53 anni, detenuto in regime di 41 bis, aveva chiesto di poter cucinare i propri piatti anche dopo le 22, motivando l’insolita richiesta con un semplice: «Perché così sono abituato». Una motivazione giudicata insufficiente dalla Corte di Cassazione, che, come riportato dal Quotidiano Nazionale, ha confermato il no già espresso dal Tribunale di Sorveglianza. Il regime di carcere duro, del resto, non lascia spazio a concessioni: i fornelli si spengono alle 20, senza eccezioni.
Piromalli, originario di Gioia Tauro e figlio dello storico boss Peppe “Facciazza”, aveva basato l’istanza sulla Carta dei diritti dei detenuti, che prevede un’alimentazione adeguata alle esigenze personali. Ma i giudici hanno ribadito che anche i diritti, in un contesto di 41 bis, devono essere compatibili con le rigorose restrizioni previste.
L’episodio riporta l’attenzione sulla linea dura seguita negli ultimi anni nei confronti dei detenuti al 41 bis. La Cassazione ha inteso dare un segnale chiaro: nessuna deroga per esigenze personali, anche se legate alla cultura gastronomica o alle abitudini personali. Neppure se si tratta di cucinare piatti della tradizione calabrese come la struncatura o i fusilli con la ‘nduja.
Un messaggio che suona come una risposta netta a certe derive del passato, quando in alcune carceri si parlava di trattamenti da “Gran Hotel”. (f.v.)

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