‘Ndrangheta, la paura del clan per il pentimento di Pasquino: un killer per ucciderlo in Brasile
Il pm della Dda si sofferma sui propositi di “stirare” il broker legato alle ‘ndrine in caso di pentimento. Una falsa notizia che diventerà realtà solo qualche anno dopo

REGGIO CALABRIA L’importazione di 35 chili di cocaina dal Brasile al porto di Gioia Tauro, i rapporti di Vincenzo Pasquino con i clan di San Luca. E, soprattutto, la paura del gruppo criminale della possibile collaborazione con la giustizia del broker Pasquino. C’è questo e molto altro nella requisitoria del pm Diego Capece Minutolo della Distrettuale antimafia di Reggio Calabria nel corso del processo “Eureka” nell’aula bunker di Reggio Calabria.
L’affare di San Paolo tra i Nirta e Pasquino
Occhi puntati, dunque, sull’affare finanziato – secondo l’accusa – da Antonio Giampaolo, Sebastiano Giampaolo (cl. ’64), Antonio Romeo, Stefano Nirta, Sebastiano Romeo (cl. ’77) e Sebastiano Romeo (cl. ’97). Particolarmente importante perché «è il momento in cui si apre una nuova collaborazione, un nuovo fronte, un nuovo canale di approvvigionamento, con un importantissimo narcotrafficante soprannominato Cetto, Cetto per la somiglianza all’attore di Cetto Laqualunque», osserva il pm in aula. Un affare risalente tra il dicembre del 2020 e il giugno del 2021, quando «era in pieno corso quel patto che era stato siglato a San Paolo di collaborazione tra la compagine di Pasquino e i Nirta (…) ma succede che, per incomprensioni, i rapporti tra le due componenti, quella brasiliana e quella di San Luca, si interrompono momentaneamente». Una collaborazione che, a detta di Pasquino, riprenderà a dicembre del 2020.
«Il sostegno economico in caso di arresto»
Il pm nel corso della requisitoria parla delle ultime chat che intercorrevano tra Pasquino e Antonio Giampaolo, prima dell’interruzione dei rapporti, perché dal tono usato si percepiva il grande rammarico di Pasquino perché, sostanzialmente, «era stato indicato in qualche modo come un traditore, come uno che non aveva rispettato i patti, sempre in relazione a quei 180.000 euro che erano stati mandati, ma riguardava la salita al porto di Anversa dal porto brasiliano…».
Come ricostruito dal pm in aula, riprendono le chat tra Giampaolo e Pasquino, si riavvicinano e «pensano di riprendere i rapporti, sostanzialmente riprende il patto di San Paolo che li aveva portati a essere un’unica componente e addirittura, in questo scambio di chat, emerge in modo lampante anche il vincolo associativo» sottolinea il pm.
In quella circostanza – come emerso già dall’inchiesta e dai verbali relativi alle dichiarazioni di Vincenzo Pasquino – Antonio Giampaolo e Pasquino parlano di «sostegno economico in caso di arresto», inteso in caso di carcerazione «per lui e la famiglia». In particolare, Pasquino dice: «Non voglio la parte, ma un pensiero», un passaggio fondamentale secondo il pm perché «e lo spiega anche Pasquino negli interrogatori, “non voglio la parte”, si intende la parte pattuita, “ma voglio un pensiero”, cioè, voglio il sostentamento economico, voglio che mi manteniate in carcere, ma non voglio la parte intesa come percentuale di quello che mi spetta secondo il patto, quindi, se vengo arrestato, per piacere mantenetemi in carcere».

Uccidere Pasquino in Brasile
Nel corso della requisitoria, il pm affronta un aspetto cruciale legato a Pasquino e al suo ruolo di broker legato alla ‘ndrangheta. «A un certo punto esce una notizia sui giornali (…) del fatto che Pasquino, che era in quel momento latitante, aveva fatto pervenire all’avvocato torinese, una lettera con cui manifestava il proposito di collaborare…». Si tratta di un episodio raccontato anche dal Corriere della Calabria, quando cioè si scatenò un ver tam-tam sulla chat criptate in uso ai Gallace. Il broker del narcotraffico, quando sull’edizione torinese del Corriere legge di una presunta lettera a suo nome, reagisce in modo brutale. E lo fa in chat, con i suoi amici e soci d’affari. Messaggi infuocati quelli di Pasquino con i quali tenta in ogni modo di spiegare ciò che effettivamente stava avvenendo. Ovviamente Pasquino smentisce tutto e, con non poca fatica, cerca di convincere i suoi soci in affari di non aver iniziato alcuna collaborazione. Come noto, Pasquino all’epoca non aveva alcuna intenzione di pentirsi, lo farà solo nel 2024, ma tra i sodali, sebbene abbia tentato con veemenza di dissociarsi da quanto era avvenuto ed era stato pubblicato sui giornali, il dubbio si era comunque fatto sempre più ingombrante nelle loro menti paranoiche.

Il pm parla di «una messinscena da parte dei familiari» che allerta però il gruppo, in particolare Piperissa, Giampaolo e Stefano Nirta, al punto che «decidono di assoldare un killer per uccidere Pasquino in Brasile» con il pm che richiama una intercettazione di Nirta in cui diceva: “speriamo di no e di godersi la sua famiglia, speriamo che è solo una strategia processuale e basta”, ma «Nirta e Piperissa avevano già deciso di assoldare un killer, sostanzialmente, per usare le loro parole, “per stirarlo”». «Al di là della efferatezza, della crudeltà, delle parole che si usano e si leggono, che non devono stupire sicuramente in questi ambienti» osserva il pm nella requisitoria, ma il dato che va assolutamente valorizzato «è il fatto che, nel febbraio del 2021, Stefano Nirta ha paura delle dichiarazioni di Pasquino, e se hai paura tanto da volerlo uccidere, se hai paura delle dichiarazioni che può fare qualcuno, è perché sei ben consapevole degli affari che hai fatto con lui e del fatto che quella persona ha molto da riferire. Nirta lo dice chiaramente: “Non mi posso fare vent’anni per lui”». Quindi, secondo il pm, «Nirta quantifica la pena, cioè il massimo della pena che può avere, proprio sulla base di quello che Pasquino. Poi l’emergenza viene meno perché, alla fine, vengono a sapere, parlando dai familiari, che si era trattato soltanto di una strategia processuale, evidentemente perché Pasquino era latitante e si voleva in qualche modo trovare una soluzione per farlo rientrare». (g.curcio@corrierecal.it)
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