Il sorriso di Roberta e quella voglia sana del suo mare e della sua libertà
Sono passati 37 lunghissimi anni, Roberta aspetta ancora la sua giustizia terrena che evidentemente non siamo ancora riusciti a darle

Oggi voglio parlarvi di un delitto impunito che risale a 37 anni fa, commesso ai danni di una splendida ragazza calabrese, il cui nome è Roberta Lanzino, forse ai più giovani questo nome non dice nulla, ma chi come me ha ormai i capelli bianchi, conosce a memoria la triste storia di Roberta, barbaramente violentata e uccisa il 26 luglio 1988, quando in sella al suo motorino stava percorrendo la strada vecchia di Falconara che conduceva al mare dove l’attendevano i suoi fratelli e che avrebbe dovuto essere scortata dalla macchina dei genitori che per un insieme di sfortunatissime circostanze si attardarono sul percorso per circa 10 minuti perdono cosi di vista il motorino di Roberta che li precedeva sulla strada che da Rende conduce a San Lucido. Arrivati a destinazione i genitori si accorsero immediatamente che Roberta non era arrivata e comprensibilmente spaventati, diedero l’allarme alle forze dell’ordine, dopo aver vanamente ripercorso la strada alla ricerca di Roberta e del suo motorino blu e telefonato a tutti gli ospedali di zona. Le immediate ricerche di Roberta videro la partecipazione attiva di numerose persone che batterono palmo a palmo i tortuosi sentieri costieri, caratterizzati da un insieme di bivi che facilmente potevano far perdere la giusta direzione di marcia verso il mare, finendo per tratteggiare terreni nascosti tra le rocce e la folta vegetazione presente. Le ricerche ebbero un primo sussulto alle ore 02.30 di quella stessa notte quando, dopo aver ascoltato vari testimoni che avevano incrociato il percorso di Roberta e ascoltato alcuni di essi a cui Roberta stessa aveva chiesto le indicazioni stradali, trovarono a poca distanza dall’ultimo posto i cui alcuni testimoni (tre pastori che abitavano in zona) avevano detto di averla vista, il motorino abbandonato in un dirupo, perfettamente funzionante e privo di qualsiasi segno compatibile con un incidente o una caduta accidentale e successivamente alle prime luci dell’alba fu rinvenuto a circa 80 metri di distanza dal luogo del ritrovamento del motorino, il corpo senza vita di Roberta, che presentava tutti i segni della barberie e della animalesca violenza sessuale che purtroppo aveva subito, prima di essere uccisa.

Il delitto sconvolse l’opinione pubblica nazionale e quella calabrese in particolare, e portò in tempi diversi alla celebrazione di un primo processo che vide imputati proprio i tre pastori, a seguito di una serie di pesanti indizi contro di essi, ma che all’esito del processo furono tutti assolti, giudizio assolutorio confermato in appello e reso definitivo dalla pronuncia della suprema Corte di Cassazione. Successivamente a distanza di tanti anni le dichiarazioni di un noto collaboratore di giustizia cosentino portarono alla celebrazione di un secondo processo contro una persona ritenuta l’esecutore materiale del delitto in concorso con altra persona che nel frattempo era stata dichiarata morta per lupara bianca e il cui presunto omicidio era da mettere in relazione proprio alla morte di Roberta e alla paura che lo stesso potesse confessare l’atroce delitto; anche questo processo cosi come il primo si concluse con una pronuncia assolutoria dettata dal mancato riscontro con il DNA estratto dal liquido seminale trovato sotto il corpo di Roberta che aveva dato l’esito di “Non Compatibilità” con i profili genetici dei vari imputati del primo e del secondo processo; Ancora oggi questo triste e barbaro delitto che sconvolse la Calabria e l’Italia intera resta impunito, senza un nome e un volto chiamato a rispondere di tanta efferatezza e atrocità, figlio di una conduzione di indagini effettuate in modo alquanto lacunoso e dalla grossolana repertazione e conservazione degli elementi racconti sulla scena del delitto e nella successiva distruzione finanche dei vestiti indossati da Roberta, incredibilmente ordinata dalla Corte di Assise, nonostante la concreta possibilità che le moderne tecniche scientifiche d’indagine avrebbero potuto oggi dare un nome all’ignoto assassino. Ma qui adesso inizia un’altra storia quella scritta dal cuore immenso degli splendidi genitori la mamma sig.ra Matilde e il compianto papà sig. Franco, che riescono a trasformare l’inferno vissuto in un delicato viatico fatto di amore, coraggio, fede, testimonianza e ferrea volontà di far germogliare il seme vivo dell’amore e del bene che sfugge alle draconiane bestialità di cui alcuni lupi travestiti ignobilmente da uomini sanno macchiarsi. Un effluvio di bene che nelle numerose interviste, che ognuno di voi potrà guardare sulle fonti aperte (YouTube-Google) restituiscono il senso profumato dell’amore puro e invincibile di questi due coraggiosissimi genitori davanti a cui tutti noi possiamo e dobbiamo solo inchinarci deferenti. Cosi quel seme offerto in sacrificio su quella terra che conduceva al mare e alla legittima voglia di vita e di libertà di una brillante studentessa universitaria, non marcisce, ma genera vita e speranza, il dolce sorriso di Roberta non si spegna ma divampa fino a far nascere la “Fondazione Roberta Lanzino” che in Suo onore e nel Suo ricordo, aiuta le donne vittime di violenza e rimane e si consolida come testimonianza fulgida di quanto la brutalità dell’uomo non potrà mai cancellare il rumoroso frastuono di un cuore che non ha smesso di battere ma si è trasformato in un meraviglioso inno alla vita. La splendida Matilde in memoria di Roberta, ha scritto un libro di racconti e poesie “Viaggio verso il mare” (un libro che restituisce la sacralità della vita e la forza del sentimento) che diventa giudice della nostra coscienza e sentinella della nostra libertà. Sono passati 37 lunghissimi anni, Roberta aspetta ancora la sua giustizia terrena che evidentemente non siamo ancora riusciti a darle, forse il tempo terreno non saprà più dare una risposta, ma certamente due cose possiamo ancora farle, chiedere al Procuratore della Repubblica di Paola di rianalizzare i fascicoli dibattimentali e ove ancora disponibili rivisitare i corpi di reato ancora esistenti e chiedere a gran voce a tutti i sindaci calabresi e per essi ai sig.ri Prefetti delle cinque provincie, di autorizzare l’intitolazione di una via o una piazza a Roberta Lanzino in TUTTE le città calabresi (alcune lo hanno già fatto da tempo), almeno questo lo dobbiamo a Roberta e al Suo innocente sacrificio, perché quel suo sorriso sappia ricordarci sempre la sacralità della vita di ogni donna e del suo legittimo diritto alla libertà.
“A Roberta Lanzino, vittima della brutalità dell’uomo, il cui sorriso continua a squarciare il buio delle tenebre e a regalare a tutti noi il fresco profumo dell’innocenza e della libertà”. (redazione@corriererecal.it)
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