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I DIRITTI NEGATI

Se anche il portalettere è precario: a Cosenza e Rende “guerra tra poveri” per il rinnovo dei contratti

Lo sfogo di un impiegato di Poste Italiane a tempo determinato (Ctd). «Sacrifici e vessazioni, l’ansia di non consegnare tutti i prodotti ed essere valutati»

Pubblicato il: 14/09/2025 – 19:50
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Se anche il portalettere è precario: a Cosenza e Rende “guerra tra poveri” per il rinnovo dei contratti

COSENZA Più che sospesi, “appesi” a una speranza. Non sono dipendenti ma sigle, rotelle di un ingranaggio che a volte ti stritola: i CTD (contratti a tempo determinato) di Poste Italiane sono tra i nuovi profili emergenti di un precariato oramai normalizzato e ancora più preoccupante se si pensa al colosso nazionale per il quale lavorano. Tra sacrifici e forme di sfruttamento. Sono un aggiornamento degli addetti dei call center, che anzi almeno in Calabria pare stiano vedendo qualche schiarita sul loro futuro.
I CTD di Cosenza e Rende, dopo un’estate di sacrifici a “tappare i buchi” dei colleghi in ferie, non si sono visti rinnovare il contratto che – per una consuetudine sedimentata nel tempo – dopo un periodo di “sospensione” porta alla stabilizzazione, passando per l’inserimento in una graduatoria cui si accede soltanto dopo aver maturato 12 mesi di contratto anche non continuativi ma in un determinato range di tempo.

Postini precari in cerca di dignità

Con l’acronimo ctd – ci spiega uno di loro – si indica una categoria di lavori precari, i portalettere, che ogni giorno si fanno in 4 per portare in giro per paesi e città volumi disumani di corrispondenza e pacchi delle più note aziende che vendono on line. Sono dei ragazzi che nella maggior parte dei casi mettono un piede all’interno di Poste Italiane con la speranza, spesso solo una illusione, di poter costruire per loro e per le proprie famiglie un futuro più dignitoso che, s’immagina, un’azienda come Poste Italiane possa offrire.
Come funziona? Si entra con dei contratti spesso trimestrali che possono essere rinnovati di volta in volta anche di un solo mese per raggiungere quel massimo di 12 mesi che consentono di partecipare a delle graduatorie nazionali dalle quali si attinge, nel corso del tempo, spesso degli anni, per stabilizzare molti di loro. Ma prima delle stabilizzazioni c’è questo periodo che bisogna affrontare, da precari, dove la dignità umana, il rispetto per il lavoratore, la meritocrazia, le vessazioni e le continue frustrazioni sono le uniche cose che scandiscono il tempo in quelle giornate.

L’ansia da prestazione. «Devi consegnare i prodotti»

«Devi consegnare i prodotti. Non ci sono Santi. E li devi consegnare tutti» ci racconta il dipendente (da qualche giorno ex): c’è la corrispondenza ordinaria, ci sono le raccomandate, ci sono i pacchi e i volumi sono alti ma molto alti, e «non devi portare nulla indietro perché se fai reso le valutazioni a fine mese per te sono basse… per te! Per altri invece no… Devi imparare tutto sulla zona dove consegnerai i tuoi prodotti e ci metti del tempo, devi conoscere ogni singola viuzza sempre con l’ansia di non riuscire a consegnare tutto pur mettendoci davvero il massimo impegno perché devi farcela, devi raggiungere quel tuo lontano obiettivo della stabilizzazione. Poi succedere però che ti cambiano di zona e ne devi imparare altre, sempre con le stesse ansie e gli stessi disagi e poi altre zone ancora…».ù
Si lavora sei giorni su sette. «Non puoi organizzare un fine settimana con la tua famiglia, non puoi programmare nulla, sei sempre al lavoro e spesso necessiti anche di ore di straordinario che ti servono per poter consegnare tutta quale mole di prodotto che va ben oltre il numero di pezzi che dovresti consegnare… Ma tu sei un ctd e devi stare in silenzio. Però sei un ctd ordinario, non sei amico di nessuno». È una guerra tra poveri.

Il silenzio prima del (mancato) rinnovo

«Qualche giorno prima della scadenza dei contratti – continua il racconto del precario al Corriere della Calabria – nella sala portalettere tra noi ctd cade il silenzio, c’è quella tensione che si può tagliare a fette, ognuno cerca di capire qualcosa, chissà cosa succederà, chissà che fine faremo. C’è chi a casa ha una famiglia, figli piccoli e la vita costa, costa tanto. Ma nessuno ti dice nulla… e allora vai al lavoro gli ultimi giorni con quel nodo in gola dato dall’incertezza che ti spinge a lavorare ancora di più, a dimostrare che sei forte, sei in gamba, sai fare il tuo. Ma questo succede a te, un ctd senza le spalle ben coperte, al contrario di chi va a fare il suo giro con poco prodotto perché a lui, combinazione, è stata affidata una zona scarsamente popolata e facile da servire».
E si arriva finalmente al giorno della scadenza contrattuale: «Siamo a fine turno, la tensione è altissima, siamo tutti in attesa di un sì o di un no, c’è chi è riuscito a fare 6 mesi in tutto, chi dieci… “Ragazzi, questa volta nessuno è stato rinnovato, ci dispiace!”. Eppure questa volta non è una comunicazione normale, c’è un’aria strana, non ci si guarda negli occhi… qualcosa assolutamente non va. Tra di noi cerchiamo di capire cosa stia succedendo perché qualcosa non ci convince… e la notizia esce subito fuori, non è possibile tenerla nascosta per altro tempo ancora: tu non sei stato rinnovato! ma altri sì».
Tra le decine di precari – e con la Cisl che sta cercando di intervenire interloquendo coi vertici dell’azienda – se ne “salvano” pochi in provincia: appena due tra Cosenza e Rende, entrambi nella sede smistamento; il rinnovo consente al primo di arrivare ai fatidici 12 mesi, alla seconda di passare il periodo critico della mobilità e quindi essere sicuramente accompagnata anche lei alla agognata soglia.
«Tutti gli altri, invece, a casuccia! Perché alla fine, come diceva un marchese molto noto, “io so’ io e voi non siete un c…”!». (EFur)

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