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‘Ndrangheta, i business della cosca Megna allo “Scida” di Crotone: steward, biglietti e vigilanza

Elementi emersi dall’inchiesta “Glicine”. Il Tribunale di Catanzaro dispone 12 mesi di amministrazione giudiziaria. «La società vittima, non complice»

Pubblicato il: 16/09/2025 – 16:03
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta, i business della cosca Megna allo “Scida” di Crotone: steward, biglietti e vigilanza

CROTONE «L’attività economica della FC Crotone srl, compresa quella di carattere imprenditoriale, è stata sottoposta, nel corso dell’ultimo decennio, direttamente o quantomeno indirettamente a condizioni di intimidazione e assoggettamento ad opera di esponenti di locali cosche di ‘ndrangheta, esercitando un asfissiante controllo del territorio di Crotone e delle relative attività imprenditoriali, compresa la FC Crotone srl, certamente più rilevante ed appetibile». Con questa motivazione il Tribunale di Catanzaro ha disposto l’amministrazione giudiziaria per 12 mesi della società “FC Crotone s.r.l.”. «Registriamo che non si tratta affatto di un provvedimento punitivo: la misura è stata adottata perché l’Autorità Giudiziaria ritiene che l’Fc Crotone abbia subito il potere di intimidazione della ‘ndrangheta e non ipotizza, neanche lontanamente, complicità o connivenze della società, dei suoi soci o dei suoi dirigenti e collaboratori». Questa, invece, la replica dell’avvocato Francesco Verri, legale della società rossoblù.

I dettagli dell’inchiesta Glicine

Questo, dunque, il resoconto di una mattina convulsa e che ha scosso – almeno in parte – il calcio calabrese. E in attesa dell’udienza prevista il 13 ottobre prossimo, quel che resta è uno scenario inquietante, sebbene non inedito. Già perché già l’inchiesta “Glicine” coordinata dalla Dda di Catanzaro – come sottolineato nel provvedimento – aveva messo in luce le presunte ingerenze della potente cosca Megna in diversi settori imprenditoriali. E, tra questi, anche quello attinente i servizi di vigilanza, riuscendo anche ad individuare presunte «figure di riferimento del sodalizio» che nella quasi totalità dei casi in maniera occulta, «avrebbero gestito servizi di security e vigilanza all’interno dello stadio del Crotone calcio».

“Babbino”

Figura centrale in questo scenario individuata dall’accusa sarebbe Gaetano Russo (cl. ’80) alias “Babbino”, considerato «soggetto contiguo alla cosca, quale quello di principale referente per i servizi di vigilanza svolti nell’area crotonese», attualmente sotto processo insieme alle altre decine di imputati.
Nel mirino della Dda, in particolare, la sua “BIG BROTHER”, società avviata nel luglio del 2016 e cessata due anni più tardi. Secondo l’accusa, la chiusura sarebbe da ricondurre alla volontà di scongiurare attenzioni investigative anche perché Russo avrebbe continuato ad operare nel settore dei servizi legati alla security.

Le dichiarazioni del pentito

Agli atti dell’inchiesta si trovano anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Montemurro (cl. ’79), risalenti al 7 novembre del 2017. Il pentito di Cosenza è stato arrestato nel blitz “Frontiera” della Dda di Catanzaro, sodale della cosca cosentina “Lanzino” per conto della quale si era, negli anni, inserito ‘ndranghetisticamente nel settore dei servizi di sicurezza e vigilanza.
«Ho gestito l’attività di buttafuori, nei locali pubblici di Cosenza e Provincia, in nome e per conto della cosca confederata Lanzino/Cicero e delle successive famiglie di ‘ndrangheta che si sono succedute, nel corso degli anni (…) ho iniziato personalmente i miei rapporti su Crotone dall’anno 2007, ma già sapevo che prima di me avevano rapporti nel Crotonese Giuseppe Fiore e Giuseppe Esposito, i quali avevano due ditte per i servizi di sicurezza nei locali, ma nei fatti erano da considerarsi una unica attività», racconta il pentito in un interrogatorio. E spiega ancora: «Nel 2007, appunto, iniziai a svolgere attività di sicurezza allo stadio e, furono proprio Fiore ed Esposito a presentarmi Mario Megna, Gaetano Russo, il quale mi venne presentato nel parcheggio dello stadio, e che poi mi presentò un tale Cesare Mumù, autista del pullman del Crotone Calcio e nipote di Mico Megna». Durante il suo interrogatorio, il pentito va oltre: «Per farvi capire come funzionava l’affidamento dei servizi di steward allo stadio di Crotone, riferisco che gli stessi erano gestiti, in toto, da Gaetano Russo, Mario Megna, Sandro Oliverio e tale Mumù. Non credo che questi avessero una qualche funzione all’interno del Crotone Calcio, anzi (…)».  

Il nipote di Micu Megna

Altro elemento chiave è poi Cesare Carvelli, crotonese classe ’85, nipote di Micu Megna. Secondo quanto è emerso dall’inchiesta “Glicine” sarebbe stato in grado di «inserirsi, anche per conto del clan, nella gestione del servizio di stewarding» allo stadio “E. Scida”, garantendo in tal modo non solo «l’ingresso allo stadio di numerosi soggetti sprovvisti di regolare biglietto, ovvero con tagliandi intestati a terzi, ma anche l’impiego, in tale attività, di soggetti legati alla cosca Megna o loro stretti  congiunti». Carvelli è stato condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere.

Gli interessi di “Micu” Megna

Nel corso delle indagini sarebbe emerso, inoltre, l’interesse da parte del boss Domenico Megna nell’approvvigionamento di biglietti relativi agli incontri di calcio del “F.C. Crotone” e la successiva redistribuzione degli stessi tra i propri accoliti o verso soggetti appartenenti a clan alleati. Fari puntati, ad esempio, sul match Crotone-Inter in programma il 9 aprile 2017. Secondo la Dda, infatti, Carvelli si sarebbe messo in contatto con un altro storico appartenente alla cosca dei “Papaniciari” «per acquistare circa 30 biglietti relativi all’incontro», con ogni probabilità al fine di rivenderli a prezzi maggiorati. Un’altra decina di biglietti, però, sarebbe servita agli storici alleati del locale di ‘ndrangheta di Cirò.

Steward e biglietti

Secondo la Dda, dunque, la cosca Megna avrebbe avuto in mano il controllo del servizio di stewarding, l’ingresso fraudolento di persone all’interno dello stadio e l’ottenimento e la successiva redistribuzione di biglietti. Per l’accusa, inoltre, il coinvolgimento personale di Mico Megna implicava che gli associati «tenessero un comportamento adeguato alle circostanze, evitando quindi di creare qualsivoglia problematica che potesse creare dubbi circa il controllo esercitato dal capoclan». Per queste ragioni il boss avrebbe richiesto «severe punizioni nei confronti degli associati inosservanti delle regole» proprio dopo la partita Crotone-Inter, nel corso della quale erano nati disguidi derivanti dall’incongruenza tra i nominativi indicati sui biglietti e le reali identità degli utilizzatori. (g.curcio@corrierecal.it)

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