Non chiamatela guerra. Chi investe sulla distruzione della Palestina
Una gigantesca operazione immobiliare che consiste nella demolizione sistematica di case e palazzi

Non è e non è mai stata una guerra. Una guerra è uno scontro fra due nazioni e fra due eserciti. Nel caso che ci riguarda abbiamo, da un lato, uno stato (Israele) e dall’altro un popolo senza uno stato (i palestinesi). E poi abbiamo, da un lato, un esercito grande, agguerrito e super-armato come quello di Israele contro un popolo disarmato (se non per quel po’ di armamenti che potevano avere i terroristi di Hamas, che, per altro, furono inizialmente finanziati dallo tesso Netanyahu in chiave anti OLP, secondo le accuse di molti suoi avversari interni). È stata quindi una gigantesca operazione di pulizia etnica volta a far sloggiare gli ultimi palestinesi dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania per annettere ad Israele entrambi i territori.
E se non è stata una guerra prima, non lo è ancor più oggi con quest’ultimo atto che è la distruzione di tutto ciò che consentiva ai palestinesi di vivere negli ultimi territori rimasti loro: case, attività economiche, negozi, campi etc. Oggi siamo di fronte ad una gigantesca operazione immobiliare che consiste nella demolizione sistematica di case, palazzi, infrastrutture civili finanziata da multinazionali che hanno filiali in Israele, negli USA ed in molti altri paesi dell’Occidente e perfino in quei paesi arabi del Medioriente da sempre economicamente alleati con gli USA. Ed ecco che i tank, gli aerei, i missili, le bombe ed i soldati eseguono un lavoro che normalmente viene fatto dalle ruspe, dagli esplosivi civili e dagli operai.
E non è stato neanche necessario prendersi la briga di evacuare la popolazione civile con treni ed autobus o di costruire loro delle tendopoli o delle baraccopoli fuori da quella che era la Palestina. La gente è stata costretta a sfollare come meglio può. Finisce così l’illusione di “due popoli, due stati” di cui ancora blatera qualche sconsiderato. È la fine della Palestina e l’inizio del Grande Israele. Un’operazione iniziata nel 1947 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pressata dal sionismo (il movimento diffuso in tutto il mondo che aveva come scopo la creazione di uno stato ebraico in Palestina, considerata terra promessa da Dio), approvò un piano di ripartizione della Palestina. Un’operazione, che dopo decenni di persecuzione dei palestinesi da parte degli israeliani, Netanyahu, messo alle strette dai suoi alleati integralisti e dalla sua stessa necessità di sfuggire alla giustizia, porterà a buon fine.
Dopo che le città e i villaggi palestinesi saranno rasi al suolo, dopo che i milioni di tonnellate di “rifiuti” (materiali da demolizioni, macerie, mobilie e resti umani) saranno smaltiti in qualche deserto africano, dopo che i palestinesi superstiti vivranno una diaspora in tutto simile a quella degli ebrei, arriveranno i fondi di investimento americani, le grandi banche, i magnati occidentali ed i nababbi arabi che sui cadaveri costruiranno altre Dubai dove vivranno e verranno a fare affari i ricchi di tutto il mondo. Quegli stessi che hanno investito i loro soldi nella distruzione della Palestina. (redazione@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato