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L’INCHIESTA

L’omicidio Boiocchi nel «contesto di ‘ndrangheta»: a giudizio anche il vibonese Simoncini

Il gip di Milano, accogliendo la tesi dell’accusa, ha disposto il giudizio immediato per il vibonese insieme a D’Alessandro, i due Ferdico e il pentito Beretta

Pubblicato il: 19/09/2025 – 12:04
di Giorgio Curcio
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L’omicidio Boiocchi nel «contesto di ‘ndrangheta»: a giudizio anche il vibonese Simoncini

MILANO È considerato l’autore materiale dell’omicidio di Vittorio Boiocchi, commesso in concorso con Daniel D’Alessandro. Con questa accusa il gip del Tribunale di Milano, Francesca Ballesi, ha disposto il giudizio immediato per il vibonese Pietro Andrea Simoncini. Insieme a lui andranno a processo anche Marco e Gianfranco Ferdico, D’Alessandro e anche l’ex capo ultrà dell’Inter e killer di Totò Bellocco, il pentito Andrea Beretta.

Risolto il cold case

Quello di Vittorio Boiocchi è un cold case rimasto tale per un paio d’anni, fin quando l’indagine della Distrettuale antimafia di Milano lo scorso aprile non ha chiuso il cerchio, individuando un vero e proprio gruppo di presunti responsabili dell’eliminazione dell’ex capo della Curva Nord dell’Inter, ucciso il 29 ottobre del 2022 sotto casa nel quartiere Figino, periferia Ovest di Milano. Un omicidio che si inserisce secondo gli inquirenti all’interno delle vicende legate alla spartizione dei guadagni sulle attività lecite e illecite gravitanti attorno allo stadio di San Siro di Milano: rivendita di biglietti a prezzi maggiorati, estorsioni, merchandising, parcheggi, catering all’interno dello stadio, servizio di guardiania sono tutte attività altamente redditizie che hanno attirato gli appetiti della criminalità, organizzata e non.


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Il vibonese Simoncini

Fari puntati su il vibonese Simoncini – classe 1973 – che secondo l’accusa sarebbe stato assoldato da Marco e Gianfranco Ferdico perché «già esperto di queste azioni» e perché «al suo paese sono in faida». Il contesto ‘ndranghetista evocato da Beretta sarebbe quello della “faida delle Preserre”, conflitto di ‘ndrangheta scoppiato nel 1988 tra Soriano Calabro, Sorianello, Gerocarne, Ariola, Pizzoni e Vazzano nel Vibonese.

I sospetti su Beretta

L’attività di indagine avrebbe così fatto emergere che i contrasti tra Beretta e Boiocchi non erano mai stati risolti del tutto e l’occupazione esclusiva del merchandising per gli inquirenti «non è stata altro che una imposizione di Boiocchi per tenere Beretta fuori dalle dinamiche e dagli interessi connessi alla tifoseria organizzata». La stessa sera dell’omicidio di Boiocchi, inoltre, Beretta ha distrutto il suo cellulare, non appena viene a conoscenza dell’omicidio. Ma saranno le sue dichiarazioni rese agli inquirenti della Dda di Milano ad escludere eventuali coinvolgimenti di Antonio Bellocco e la sua famiglia, proprio perché ha confessato di essere stato lui il mandante.

Il piano omicidiario

L’esecuzione materiale, invece, sarebbe stata demandata a Marco Ferdico e il papà Gianfranco. I due, per il progetto omicidiario, avrebbero assoldato Daniel D’Alessandro e Pietro Andrea Simoncini, suocero di Marco Ferdico. Il tutto dietro pagamento di 50mila euro. L’indicazione sull’impiego della famiglia Ferdico gli sarebbe stata suggerita da Mauro Nepi Mauro che, proprio come Beretta, non godeva di particolare credito in termini di fedeltà da parte di Boiocchi. Il collaboratore di giustizia Beretta avrebbe anche raccontato ai pm le modalità: l’omicidio sarebbe stato consumato a bordo di una moto acquistata dallo stesso Beretta ed intestata ad un suo uomo di fiducia, Cristian Ferrario, «autore materiale, successivamente all’omicidio, della distruzione ed occultamento della moto» che, nelle fasi salienti del delitto, «sarebbe stata occultata all’interno di un furgone (Fiat Ducato di colore bianco) nella disponibilità dei Ferdico».


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La «modalità professionali» dell’omicidio

Altro aspetto per nulla secondario per gli inquirenti è la gestione delle fasi preparatorie e di quella esecutiva dell’agguato che è costato la vita al capo ultrà nerazzurro, condotte con modalità «assolutamente professionali». A cominciare, ad esempio, dall’utilizzo di utenze olandesi applicate su telefoni cellulari modello Google Pixel sui quali erano state installate applicazioni di messaggistica istantanea criptata, con tecnologia di comunicazione PGP (pretty Good Privacy), non intercettabili con gli ordinari strumenti di intercettazione telematica, pertanto in grado di eludere il monitoraggio da parte delle forze dell’ordine. Inoltre, come ricostruiscono gli inquirenti, l’agguato è stato commesso a bordo di un motociclo acquistato appositamente e intestato ad un soggetto di fiducia di Andrea Beretta – poi distrutto – del quale invece era stato denunciato il furto. Motociclo portato inoltre sul luogo del delitto a bordo di un furgone appositamente noleggiato, del quale era stato manomesso il trasponder per non essere localizzato. La fase esecutiva dell’omicidio, invece, è stata preceduta da appositi sopralluoghi per studiare i luoghi.

«Evocato il contesto mafioso»

Accogliendo la tesi accusatoria della Procura di Milano, dunque, il gip ha parlato di «contesto mafioso», anche in considerazione della partecipazione del vibonese Simoncini, soggetto che l’accusa riteneva «apparentemente estraneo al contesto milanese e lombardo», ma con un ruolo di primo piano sia nella fase preparatoria che in quella di esecuzione materiale. Per gli inquirenti, infatti, in questi ultimi mesi sono emersi elementi utili a delineare il contesto criminale nel quale si colloca l’omicidio di Vittorio Boiocchi, a partire dalle ingerenze della criminalità organizzata – anche di stampo mafioso – nelle attività commerciali legate al tifo organizzato. Dettagli emersi proprio nell’inchiesta “Doppia Curva” dello scorso settembre, con la presenza progressiva di Antonio Bellocco, rampollo dell’omonimo clan di ‘ndrangheta, nella gestione degli affari della Nord di San Siro. (g.curcio@corrierecal.it)

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