L’imprenditore con «l’endorsement» della ‘ndrangheta e la «tassa turistica» da pagare alle cosche
Per il gup Vincenzo Calafati, condannato per concorso esterno, avrebbe assunto un ruolo da «intermediario» tra i clan e un tour operator tedesco

VIBO VALENTIA Sarebbe stato un «imprenditore colluso» in favore del clan di ‘ndrangheta capeggiato da Luigi Mancuso, assumendo il ruolo da «intermediario» tra un colosso tedesco del turismo e le consorterie criminali del vibonese. Con queste motivazioni il gup Pietro Agosteo ha condannato a 11 anni e 4 mesi per concorso esterno Vincenzo Octave Calafati, titolare della società Destinazione Calabria srl e imputato nel processo che riunisce Maestrale, Olimpo e Imperium. Per il giudice distrettuale regge il quadro probatorio presentato dalla Dda di Catanzaro, che «consente di ritenere pienamente configurato il ruolo di concorrente esterno» di Calafati.
Le accuse: il ruolo da «intermediario» con le cosche
Secondo l’accusa, Calafati, titolare della società Destinazione Calabria srl, da imprenditore attivo nel settore dell’incoming avrebbe «favorito l’infiltrazione delle cosche» nel ramo turistico-alberghiero. In particolare, assumendo il ruolo di «mediatore» tra il sodalizio criminale e un tour operator tedesco, interessato a investire su alcune strutture ricettive della Costa degli Dei. La vicenda gira intorno al villaggio Tui Magic Life di Pizzo, finito nelle mire della ‘ndrangheta vibonese. Gli inquirenti sottolineano come Calafati fosse «in piena armonia con gli assetti criminali mafiosi» del territorio e proprio riguardo la questione della struttura sita a Pizzo avrebbe garantito una mediazione tra i clan e il tour operator tedesco. In alcune conversazioni intercettate dagli inquirenti l’imputato avrebbe fatto riferimento a «sei milioni e mezzo da mangiare» con l’ingresso della società della Germania in Calabria. Per il gup, Calafati avrebbe gestito i rapporti con il colosso tedesco «al fine di individuare i compensi da corrispondere in favore della criminalità organizzata».
L’endorsement della ‘ndrangheta
La mediazione avrebbe garantito a Calafati una «posizione di esclusiva nel settore turistico» ma con «vantaggi e utilità anche per l’associazione mafiosa». Il riferimento è alla cosiddetta «tassa turistica» da versare alle cosche vibonesi e anche al «controllo del sistema delle forniture e all’erogazione di altri servizi». I presunti rapporti tra Calafati e le cosche criminali vengono ricostruiti dall’accusa a partire dall’«endorsement» di Diego Mancuso, che avrebbe manifestato «la propria benevolenza nei confronti del Calafati» tanto da invitarlo all’incontro con un anziano esponente della criminalità organizzata che «si sarebbe rallegrato di vederlo “prima di morire”». Secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stato anche lo stesso imprenditore in una intercettazione a «evidenziare l’evoluzione positiva dei propri rapporti con la criminalità organizzata». Avrebbe poi raccontato di un incontro con un elemento di vertice della ‘ndrangheta, tanto da prendere come esempio il Papa per far comprendere «il potere del proprio referente». (ma.ru.)
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