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il maxi processo

Rinascita-Scott, la Dda ribadisce le accuse per i boss storici della ‘ndrangheta vibonese. E rilancia sugli ex politici

Quasi due settimane di requisitoria al termine delle quali il pm De Bernardo ha chiesto la conferma delle condanne e rinnovato le accuse per 61 imputati

Pubblicato il: 26/09/2025 – 17:38
di Giorgio Curcio
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Rinascita-Scott, la Dda ribadisce le accuse per i boss storici della ‘ndrangheta vibonese. E rilancia sugli ex politici

LAMEZIA TERME La Distrettuale antimafia di Catanzaro non arretra rispetto all’impianto accusatorio ricostruito nel corso di una lunghissima fase investigativa che ha portato, a dicembre 2019, alla cattura di centinaia di persone, tutte considerate appartenenti o legate – secondo vari vincoli – alle cosche della ‘ndrangheta dell’intero territorio Vibonese.
Al termine di quasi due settimane e di decine di ore di requisitoria davanti ai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro, nel frattempo ritornati nella rinnovata aula bunker di Lamezia Terme, i pm della Dda Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci hanno snocciolato, nome per nome e capo d’imputazione dopo capo d’imputazione, le accuse nei confronti di 207 imputati. Per la gran parte di loro i pm hanno chiesto che sostanzialmente venissero confermate le condanne già emesse in primo grado, ormai quasi due anni fa. Per 61 imputati, invece, sono state formulate nuove richieste, alcune differenti di pochi anni, altre uguali ma ribadendo alcuni capi d’imputazione “caduti” in primo grado.

Razionale e Pugliese: chiesti 30 anni

Svettano su tutti i trent’anni chiesti per lo “zio” Luigi Mancuso, ritenuto il boss supremo della ‘ndrangheta vibonese. Stessa richiesta avanzata per Giuseppe Antonio Accorinti alias “Peppone”, considerato al vertice dell’omonima cosca di Zungri. Richiesti 30 anni di condanna, poi, per Saverio Razionale e Rosario Pugliese alias “Saro Cassarola”. Quest’ultimo, sfuggito per quasi un anno alla cattura, è considerato il capo della ‘ndrina dei “Cassarola” ramificata nella zona di viale Affaccio di Vibo Valentia. Come testimonia il collaboratore di giustizia, il cugino Andrea Mantella, Saro possiede la dote della “Santa”, grazie alla quale poteva partecipare agli incontri della società maggiore. L’usura è una delle attività illecite che Pugliese, secondo le accuse della Dda di Catanzaro, praticava maggiormente, oltre a essere socio occulto delle imprese di pompe funebri di Orazio Lo Bianco e Michele Lo Bianco, altri maggiorenti della ‘ndrina. Razionale, invece, è considerato il boss della ‘ndrina di San Gregorio d’Ippona. È stato ed ha continuato a essere un boss anche dopo l’ultima, irrevocabile sentenza nei suoi confronti. L’accusa, durante le udienze, ha parlato di una sorta di direttorio criminale nel quale Razionale è capo, organizzatore del sodalizio, partecipe ad un vero e proprio cartello ‘ndranghetistico trasversale rappresentativo delle locali di ‘ndrangheta della provincia di Vibo Valentia.

Gli altri

Chiesti, poi, 28 anni per Francesco Salvatore Mazzotta, considerato dall’accusa ‘ndranghetista originario del locale di Piscopio, in qualità di promotore, organizzatore nonché elemento di vertice, referente e finanziatore del sodalizio mafioso nella sua articolazione di Pizzo. Invocata una condanna a 25 anni di carcere per Giovanni Sicari, considerato dall’accusa «partecipe del sodalizio criminale» avendo il compito di procurarsi e custodire armi e munizioni. E poi i 24 anni a testa per Domenico cl. ’62) e Orazio Lo Bianco, ma anche Francesco Romano e Antonio Delfino.

Pittelli e Giamborino

E poi ci sono le accuse ribadite per l’ex parlamentare Giancarlo Pittelli, condannato in primo grado a 11 anni di reclusione. Ora l’accusa ha chiesto 14 anni (ne aveva chiesti 17 in primo grado). Sono «numerose le vicende – scrive il tribunale nelle motivazioni – che dimostrano la stabile ed effettiva messa a disposizione dell’imputato nei confronti dell’associazione». Il rapporto tra Pittelli e Luigi Mancuso non si riduce ad una confidenzialità inusuale tra avvocato e capo-mafia, «superando i limiti della mera contiguità compiacente, per risolversi nella ripetuta e concreta attivazione dell’imputato a beneficio della consorteria alla quale fornisce uno specifico e consapevole contributo» è scritto ancora nelle motivazioni. Ribadita la richiesta di condanna a vent’anni per l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, in primo grado condannato d 1 anno e 6 mesi di reclusione, e accusato dalla Dda di essere «partecipe del locale di Piscopio». Sui presunti rapporti del politico con la mala vibonese, la Dda segnala «i rapporti con Saverio Razionale». Tuttavia, per i giudici «persiste un’area di equivocità quanto al ruolo di Pietro Giamborino (…), la valutazione rigorosa degli elementi indicati non consente di raggiungere» nei suoi confronti «in relazione al delitto partecipazione in associazione mafiosa o di concorso esterno, la soglia probatoria necessaria ai fini di una pronuncia di condanna, dovendo pervenirsi, pertanto, nei suoi confronti ad una sentenza assolutoria». Toccherà alle parti e alle difese, ora, replicare alla requisitoria della Dda e alle richieste di condanna, poi la camera di consiglio per una sentenza attesa tra un paio di mesi. (g.curcio@corrierecal.it)

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