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le confessioni

‘Ndrangheta nella Sibaritide, il pentito racconta «la riunione» prima dell’omicidio Gaetani

Seduti ad un tavolo «le famiglie Abbruzzese e Forastefano», alcuni esponenti della mala di Corigliano e un uomo di Altomonte

Pubblicato il: 02/10/2025 – 6:55
di Fabio Benincasa
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‘Ndrangheta nella Sibaritide, il pentito racconta «la riunione» prima dell’omicidio Gaetani

CASSANO ALLO JONIO I pentiti parlano, raccontano, confessano: le loro dichiarazioni spesso suggeriscono agli investigatori piste utili da seguire per ricostruire l’organigramma di una cosca, scoprirne i punti deboli, gli affari illeciti, ma talvolta la voce dei collaboratori di giustizia aiuta chi indaga a comporre puzzle intricati legati a “cold case”. E’ il caso di Giuseppe Gaetani, freddato nel dicembre 2020 a Cassano allo Jonio dalla furia dei killer e da 14 colpi mortali che lo hanno raggiunto, in macchina, a pochi passi da casa. Di quella esecuzione, rimasta per cinque anni senza colpevoli, non si era saputo nulla fino a qualche ora fa, quando la Dda di Catanzaro ritiene di aver chiuso il cerchio sui presunti responsabili del delitto: Pasquale Forastefano, Nicola Abbruzzese detto “Semiasse” e Domenico Massa, ognuno con un ruolo ben definito. I tre, oggi alle 14, si sottoporranno all’interrogatorio di garanzia.

Il furgone parcheggiato nel capannone

Torniamo ai pentiti ed alle loro dichiarazioni. Sono due i collaboratori di giustizia chiamati a raccontare quanto di loro conoscenza sul fatto di sangue. Uno è Luca Talarico. Dopo essere stato condannato in primo grado a 12 anni di reclusione, ha iniziato a collaborare con la giustizia nel novembre del 2023. Durante tre interrogatori ha riferito – questo quanto emerge dall’inchiesta – di aver visto nel terreno di una azienda che gestiva in fitto «parcheggiato, per diversi giorni, un furgoncino bianco che, come in seguito aveva appreso, era stato utilizzato per compiere l’omicidio di un uomo avvenuto a Cassano allo Jonio». Come confessa lo stesso pentito, Domenico Massa (indagato) gli avrebbe intimato di «non andare nel capannone», ma «contravvenendo a questo ordine continuai a recarmi in azienda e vidi parcheggiato dentro il capannone un furgoncino bianco somigliante ad un Fiat Doblò, piuttosto nuovo (…) ricordo che aveva il portellone laterale scorrevole e quello posteriore che si apriva tramite due ante». Il racconto prosegue. «Dopo circa una decina di giorni Massa mi mostrò (…) una notizia di stampa dal suo cellulare che riguardava l’avvenuto omicidio di un uomo, di cui non ricordo il nome, commesso a Cassano all’Ionio; ricordo che la vittima era stata colpita da arma da fuoco mentre stava tornando a casa». E a quel punto – sempre secondo Talarico – «Massa mi disse “ecco a cosa serviva quel furgone bianco parcheggiato nella tua azienda!”». Quel furgone poi sarà demolito.

La riunione e l’omicidio

Per l’accusa, occorre precisare, Pasquale Forastefano – in qualità di reggente dell’omonima cosca di Cassano allo Jonio – sarebbe stata la mente del delitto «condividendo il progetto con Nicola Abbruzzese detto “Semiasse”, capo della cosca degli “Zingari”, al quale si rivolgeva affinché fornisse un killer di sua fiducia». Domenico Massa, invece, componente del clan Forastefano, avrebbe fornito «sostegno logistico al piano omicidiario mettendo a disposizione il capannone dove occultare sia le armi e il mezzo per commettere l’omicidio (un furgone di colore bianco)».
Sul delitto, la narrazione di Talarico è utile – per chi indaga – a cristallizzare nomi, volti e ruoli dei presunti responsabili del fatto di sangue. Seguendo il racconto fornito dal collaboratore di giustizia, «Massa gli aveva confidato di aver partecipato, alla riunione nella quale era stato deliberato l’omicidio, in cui erano presenti membri delle famiglie Abbruzzese e Forastefano, della criminalità organizzata di Corigliano», e un uomo di Altomonte. Ma lo stesso Massa, precisa Talarico, «non raccontò alcun dettaglio sulle modalità di esecuzione». Il collaboratore chiarisce agli investigatori un altro passaggio, legato alla presenza di armi e riferisce di non averle mai viste nella sua azienda. Non nega, invece, di averle viste nell’impresa di Domenico Massa «occultate all’interno di grandi contenitori in plastica per la frutta» e le armi erano «kalashnikov, fucili e pistole». Quando sorpreso si rivolge a Massa, quest’ultimo risponde riferendo che le stesse fossero del «compagno», appellativo col quale si riferiva abitualmente a «Pasquale Forastefano». (f.benincasa@corrierecal.it)

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