Santino Trimboli, giornalista e uomo dalla schiena diritta
Gli anni insieme nella stagione irripetibile del Giornale di Calabria e un’amicizia che durerà per sempre

Il messaggio di Lullo Sergi sulla chat degli ex Giornale di Calabria (“E’ morto Santino”) ha avuto lo stesso effetto di una lama che penetra nel cuore. Non è facile comprendere la natura del rapporto che lega da più di 50 anni i protagonisti di quella straordinaria e irripetibile stagione del giornalismo meridionale. Siamo stati e saremo “amici per sempre”. Piangendo Santi Trimboli si affollano nella mia mente emozionanti ricordi professionali e teneri ricordi privati.
“Santino” è diventato giornalista a costo di grandi sacrifici, partendo da una gavetta dura e difficile, fatta di lunghe giornate nei corridoi della squadra mobile o della legione dei carabinieri in attesa di strappare la notizia oppure nei campi di calcio assolati per seguire squadre minori. La “notizia” era la sua ossessione di cronista di razza, arrivare prima degli altri, pubblicare prima degli altri. Durante il sequestro del piccolo Francesco Cribari passò diverse notti su una panca della questura in attesa del rilascio dell’ostaggio, procurandosi una bella cervicale che lo ha sempre tormentato.
Cronaca nera e sport i suoi cavalli di battaglia, i terreni su cui si misurava la sua capacità di interpretare i fatti e restituirli ai lettori.
Abbiamo condiviso mesi di lavoro nella redazione centrale del Giornale di Calabria, a Piano Lago, in aperta campagna, che noi avevamo ribattezzato “Piano Lager”. Santino si muoveva perfettamente a suo agio nel ruolo centrale, alternandosi tra le pagine sportive e quelle di cronaca. Sapeva fare di tutto: valutare le notizie, impaginare, fare i titoli, scrivere, organizzare i corrispondenti.
Oggi che i giornali si possono fare in una stanza con un server, fa quasi tenerezza ricordare una redazione con i menabò e i pennarelli, con i dimafonisti che raccolgono le corrispondenze e una grande tipografia con i caratteri di piombo, il rumore delle linotype, le bozze che odorano d’inchiostro. Riaffiora il ricordo agrodolce dell’autogestione del giornale, disperato tentativo di evitarne la chiusura, con i turni che facevamo anche di notte per impedire che la proprietà mettesse i lucchetti alla sede di Piano Lago.
Ma quella è stata una palestra essenziale e fondamentale per ognuno di noi che ha poi fatto tesoro di quell’esperienza nelle successive fasi della carriera. Per Santino il passaggio in Rai è stato praticamente fisiologico. Aiutato anche da una bella voce e allevato da quel grande maestro che è stato Emanuele Giacoia, è stato per anni un pilastro della TGR Calabria, inviato speciale per fatti di cronaca o per le trasmissioni storiche dello sport. La Rai è stata la sua casa, anche se qualche volta – mi confessava – fonte di incomprensioni.
Santino, nonostante i suoi tratti gentili, non aveva un carattere facile. Pagava il fatto di essere troppo leale e troppo schietto. Non aveva peli sulla lingua e non temeva di scontrarsi con le gerarchie superiori. Detestava i compromessi e per questo l’ho sempre ammirato. Avesse avuto un po’ più di diplomazia lo avremmo visto stabilmente a Saxa Rubra.
Teneri ricordi privati. Le sue nozze con Annamaria nella chiesa di San Francesco di Paola a Cosenza, le ricordo come fosse oggi. Difficilmente ho incontrato nella mia vita una coppia così solida, così complice, così indissolubile. Annamaria è stata la compagna comprensiva e innamorata di un giornalista super impegnato, ma anche l’unica capace di farlo ragionare nei momenti delle sue impuntature.
Io voglio ricordare Santino in una memorabile giornata d’estate di una decina di anni fa, a Soverato, località che lui amava. Avevamo deciso di stare assieme da mattina a sera, prima sulla spiaggetta dell’Hotel San Domenico dove alloggiava e dove non perdeva occasione di tuffarsi con la maschera da sub per guardare i fondali, poi sul lungomare dove abbiamo cenato con Pietro Melia e sua moglie Patrizia Greto. Quando ci siamo lasciati, con un bicchiere di prosecco in mano, Annamaria si è lasciata sfuggire: “La nostra amicizia durerà per sempre”. Sì, caro Santino, “amici per sempre”.