‘Ndrangheta e TikTok, quando i social diventano «vetrine» delle mafie
Dai post che inneggiano alla criminalità organizzata ai rampolli che ostentano auto e orologi di lusso. L’apologia della malavita tra canti e (falsi) miti

‘Ndrangheta, mafie e social network: un connubio ormai certificato da indagini ed esperti. La criminalità organizzata si espande e accresce il consenso tramite i nuovi media e le forme di comunicazione emergenti. C’è il rampollo che ostenta (il termine “social” è flexare) auto e orologi di lusso, una vita ricca e un finto potere, ci sono i detenuti che narrano le proprie gesta direttamente dal carcere o esponenti di famiglie mafiose che esaltano il curriculum criminale e le “storie” di malavita. Su TikTok l’apologia e la mitizzazione della criminalità organizzata viaggiano a passo spedito, figlie di una nuova comunicazione più rapida, istantanea e d’impatto, che toglie spazio (e tempo) all’approfondimento e al pensiero critico. Un rischio di cui l’azienda stessa è consapevole, costretta a intervenire per cercare di mettere un freno ed investire soldi per migliorare il software che ha aiutato a rimuovere migliaia di video in poche ore.
La «vetrina delle mafie»
Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri ha definito TikTok la «vetrina delle mafie». A riaccendere l’attenzione sul tema il recente episodio accaduto a Palermo, dove il 21enne Paolo Taormina è stato ucciso mentre cercava di sedare una rissa. Sarebbe stato Gaetano Maranzano a premere il grilletto, 28enne molto attivo sui social, compreso TikTok, in cui pubblicava foto e video osteggiando catene d’oro e collanine raffiguranti una pistola. Dopo l’omicidio di Taormina, avrebbe anche pubblicato un video con in sottofondo un audio tratto dalla fiction “Il capo dei capi” e l’attore che interpreta Totò Riina. Ma tra le sue foto spuntano anche catene e insulti agli “sbirri”. Elementi comuni al mondo della criminalità e diffusi sulla piattaforma social: molti di questi inerenti alla ‘ndrangheta, tra le mafie più attive su TikTok. Come dimostra il caso del profilo social da 35 mila follower chiuso dopo la denuncia del Corriere della Calabria che inneggiava ai clan di ‘ndrangheta del vibonese, con insulti ai collaboratori di giustizia e auguri di “presta libertà” ai boss calabresi detenuti nelle carceri.
I canti di malavita e gli appelli
Ma anche la diffusione dei canti di “malavita”, con chiari riferimenti ai riti e alle leggende ‘ndranghetiste che si diffondono sui social a macchia d’olio. In un eterno dibattito, quest’ultimo, tra semplice folklore e apologia della ‘ndrangheta. Sono stati diversi in questi anni gli appelli per una legge ad hoc che preveda provvedimenti nei confronti di chi si rende autore di post, video o messaggi che esaltino la malavita. Soprattutto quella calabrese, un fenomeno ormai culturale più che criminale e che negli anni ha basato la propria “propaganda” su miti, leggende e riti al fine di aumentare il consenso, come hanno dimostrato più studi accademici. La ‘ndrangheta, così come camorra e mafie, sfrutta TikTok come «pubblicità», un modo per «adescare giovani», come ha sottolineato Gratteri. vendendo uno stile di vita finto e il fascino di una criminalità che non esiste. Per Nicola Gratteri «i giovani non attrezzati culturalmente o che non hanno idea della realtà che li attende, abboccano e diventano garzoni, carne da macello per i capimafia». (ma.ru.)
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato