Palestina: pace o “soluzione finale”?
di Francesco Bevilacqua*

Secondo il Financial Times del 3 ottobre scorso il 78% degli edifici di Gaza è distrutto o danneggiato, il 93% dei civili è sfollato, il 98,5% della terra agricola è inutilizzabile, il 90% delle scuole e degli ospedali è inservibile. Questo il quadro della situazione all’indomani del piano di pace di Trump. Certo, non possiamo che plaudire al rilascio degli ultimi ostaggi israeliani, a quello dei prigionieri palestinesi ed al precario cessate il fuoco. Ma i numeri – se questi sono – di quest’ultima, tremenda fase di un conflitto che dura da decenni minano le basi sulle quali si può costruire una pace vera.
Dopo l’attacco israeliano in Quatar per uccidere i negoziatori di Hamas non era più possibile attendere. Bisognava bloccare la follia bellicista di Netanyhau, che, viceversa, avrebbe sconvolto il precario equilibrio dell’intera regione mediorientale. Trump c’è riuscito non con la ragionevolezza, ma con il suo usuale cinismo. Prima ha fatto affari con le monarchie arabe sunnite del Golfo, anche personali (ricordo il viaggio in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti dei primi di maggio scorso): si parla di centinaia di miliardi di dollari e del famoso dono ricevuto dall’emiro del Quatar di un aereo Jumbo 747 da 400 milioni di dollari. Dopodiché, le ha costrette ad assumersi la responsabilità ed il controllo degli uomini di Hamas, che per altro erano già sui loro libri paga, oltre che su quelli degli israeliani. Poi è passato a Netanyahu, facendo leva sul discredito internazionale che si è procurato in questi mesi e sulla sorte degli ostaggi. Infine ha convinto tutti gli altri attori della vicenda, facendo loro annusare gli ingenti guadagni che potrebbero derivare dalla fine del conflitto. Primi fra tutti, quelli di coloro che hanno materialmente finanziato la costosissima guerra di Israele acquistando i suoi titoli di stato (sinistramente noti come “War bond”), i cui nomi (c’è anche una banca italiana) sono emersi da uno studio commissionato dalle ong Pax e BankTruck ad un’agenzia indipendente olandese che si chiama Profudo (potete trovare i particolari su “Altraeconomia”).
Sono tanti gli invitati al lauto banchetto del valore di centinaia di miliardi di dollari di cui ha scritto con dovizia di particolari Angela Zoppo con un articolo dal titolo “Affari d’oro a Gaza. Ecco chi è in corsa per la ricostruzione e i giacimenti offshore” su Milano Finanza. L’articolo si riferisce al punto 10 del piano di Trump che prevede la realizzazione a Gaza di “città miracolo” come quelle delle monarchie arabe del Golfo. Quindi città avveniristiche nelle quali potranno vivere solo i ricchi. In questo caso, il futuro abitativo dei palestinesi è quello di immense baraccopoli – ammesso che verranno tollerate – o la fuga. E si riferisce anche ai giacimenti di gas sotto il Mare di Palestina, che dovrebbero essere sfruttati da qualche grande compagnia mondiale come la British Petroleum (da qui il coinvolgimento iniziale nella autorità di governo di Gaza dell’ex premier laburista britannico Tony Blair, consulente della compagnia). Né sappiamo che fine faranno i territori della Cisgiordania ed i soprusi in danno dei palestinesi in quell’altra area: nel piano di pace non c’è un rigo dedicato a questo problema. O dell’apartheid dei palestinesi cittadini israeliani.
Altro elemento di spicco della svolta sono i media. Che sono tutti chiamati a magnificare la pax trumpiana, come abbiamo visto fare in occasione dello sconcio discorso del presidente USA alla Knesset israeliana, nel quale il tycoon straparlava della “bellezza” delle armi date dagli americani a Netanyahu e del “buon uso” che lo stesso ne ha fatto, sterminando – aggiungo io – decine di migliaia di palestinesi e radendo al suolo le loro case. Quel che ci si deve aspettare dai media è zero senso critico e disinformazione a go go. A parte il gravissimo indottrinamento della popolazione israeliana, in gran parte convinta, fin dall’età scolare, che la Palestina sia una terra data agli ebrei da Dio e che l’unico palestinese buono è quello morto, come ha spiegato lo scrittore israeliano Gideon Levy a Riccardo Iacona in una recente puntata di “Presa Diretta”.
Ultima “curiosità” è l’iniziale condizione di disarmo di Hamas e di esautoramento dell’organizzazione dal governo di Gaza contenuta nel piano. Dopo il cessate il fuoco sono rispuntate fuori le milizie di Hamas armate di tutto punto e si sono viste immagini di esecuzioni pubbliche a danno degli oppositori, mentre gli scontri con l’esercito israeliano sono ripresi. Perché nessuno interviene? Basterebbe che chi finanzia Hamas chiudesse i conti.
Certo, sarebbe bello se d’un tratto palestinesi ed israeliani si abbracciassero e la smettessero di ammazzarsi come belve idrofobe. E lo stesso direi per i russi e gli ucraini e i tanti altri conflitti invisibili che dilaniano il mondo, come quello in atto nel Sudan che, pare, sia uno dei più efferati del nostro tempo. Ma avendo letto il “temino” in 20 punti di Trump (chi vuole può trovarlo su “Terrasanta.net”), un dubbio atroce mi coglie: ma per i palestinesi sarà pace o non è per caso l’inizio della “soluzione finale” che i nazisti misero in atto proprio sugli ebrei? Certo non vedremo i campi di concentramento ed i forni crematori, ma vi sono oggi tecniche ben più raffinate per cancellare la memoria di un popolo o di una civiltà.
*Avvocato e scrittore
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