Siamo entrati nell’autunno caldo del ritocchino
Dalla trappola di Instagram alla gaffe di Paolo Mieli sulla candidata palestinese a Napoli (e sullo sfogo di una donna calabrese trapiantata a Torino)

Ottobre è e rimane – parlando di cose serie – il mese della prevenzione femminile. Ma è ormai diventato anche il mese del ritocchino. Si impenna il carrello della spesa, accanto agli acquisti essenziali c’è “il conto Instagram” come ha raccontato Concita de Gregorio qualche giorno fa su Repubblica. Urgono le mammografie ma in lista d’attesa ormai ci vai anche per la carbossiterapia. C’è la fila nei centri di chirurgia estetica. Accanto al corpo da salvare e tutelare c’è il corpo che viene levigato, stirato, ringiovanito a suon di aghi e filtri. Siamo ufficialmente entrati nell’autunno caldo delle pubblicità “consapevoli” che sponsorizzano il botox “per sentirti meglio con te stessa” – mai che si ammetta di sembrare qualcun’altra, ci mancherebbe. Tra pixel e pregiudizi siamo tutte dentro una vetrina. Un grande camerino a cielo aperto chiamato Instagram, dove le donne devono essere perfette sempre, pure per farsi ascoltare. Ne avevamo già parlato qui sul Corriere.
De Gregorio scrive, tra l’altro, di una madre calabrese trapiantata a Torino che racconta alla giornalista le difficoltà di crescere una figlia nell’era in cui l’autostima si misura in like e l’identità si filtra con Valencia o Clarendon, due filtri molto popolari su Instagram. Perché non basta più essere autentiche, intelligenti, interessanti: devi anche sembrare appena uscita da un tutorial di make-up su TikTok. Il corpo diventa un investimento, un progetto manageriale con tanto di scadenze: biorivitalizzazione entro Natale, filler labbra prima del matrimonio della cugina, carbossiterapia per l’addio al nubilato dell’amica. Autenticità? Roba vintage. Ci eravamo illuse con le modelle curvy (che poi significa normali), ma in passerella quest’autunno sono tornate le taglie 36 e lo show di Victoria’s Secret, inclusivo, è stato ignorato dai social. Così raccontano gli osservatori.
Poi arriva Paolo Mieli e ci ricorda, con la delicatezza di un elefante in cristalleria, che le donne vanno bene in politica… ma solo se portano la taglia giusta. La sua “gaffe” – chiamiamola così per gentilezza – su Souzan Fatayer, “la “palestinese napulitana un po’ in sovrappeso”, candidata di Alleanza Verdi Sinistra per le Elezioni Regionali in Campania, è un distillato di patriarcato balsamico, servito con un contorno di giudizio estetico non richiesto. Perché va bene parlare di idee, programmi, pace in Medio Oriente, certo. Ma vuoi mettere un commentino sulla pancetta? Mica si può resistere. E il problema non è Mieli, che poi è stato costretto a scusarsi. Il problema è che Mieli è la norma, non l’eccezione. Che ci scandalizziamo solo quando qualcuno lo dice a microfono acceso, ma la verità è che le donne continuano a essere pesate – in senso letterale – prima di essere ascoltate. La bellezza è diventata un atto dovuto. E chi non si adegua? Esclusa. Invisibile. Sottovalutata. Magari pure insultata. E non importa quanto sei brava: importa come ti vedono. Non è stato così per la sindaca di Genova, Silvia Salis? Ricordate cosa disse Gasparri? “Carina, ma inesperta, le elezioni non sono un concorso di bellezza”. Ma c’è una buona notizia: non tutto il mondo è Instagram. La realtà – quella vera – è fatta di donne normali. Di rughe, di chili in più o in meno, di storie. E anche di bellezza. Quella vera, che non ha bisogno di essere stirata. C’è un’urgenza politica, culturale, persino sanitaria, in questa battaglia contro l’immagine imposta. Serve ricordare alle ragazze (e ai ragazzi) che il corpo non è un biglietto da visita, ma uno spazio di vita. Che la perfezione è un’illusione tossica. Che la libertà è potersi mostrare come si è. E che no, Paolo Mieli non è l’oracolo dell’estetica. Né lui, né Instagram. (redazione@corrierecal.it)
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