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l’indagine

Cosenza, il sistema delle false perizie: 44 casi accertati e un unico “regista”

Oltre cento indagati e perquisizioni in corso, certificata la «disponibilità di contanti per un valore significativo». Alcuni ricorsi hanno ingannato i giudici del lavoro

Pubblicato il: 27/10/2025 – 13:06
di Fabio Benincasa
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Cosenza, il sistema delle false perizie: 44 casi accertati e un unico “regista”

COSENZA Un vero e proprio «sistema» costruito e alimentato da un unico «regista» originario di Acri: il dipendente di un patronato di un sindacato (ignaro rispetto ai fatti oggetto di indagine) finito al centro di una inchiesta conclusa nella giornata di oggi dal Comando provinciale dei Carabinieri di Cosenza, guidato dal colonnello Andrea Mommo, con il coordinamento da parte della procura di Cosenza guidata da Vincenzo Capomolla. I dettagli dell’attività svolta sono stati presentati, questa mattina, nelle sede del Comando provinciale di Cosenza alla presenza anche del comandante del reparto operativo Umberto Centobuchi.

Le indagini e il modus operandi

Chi indaga suppone l’esistenza di false perizie «per induzione» con i periti nominati dal giudice del lavoro che – in alcune occasioni – sarebbero stati indotti in errore sulla base di una documentazione medica artefatta costruita ad hoc dal professionista cosentino: fino oggi ai domiciliari. In altri casi, invece, il perito si è accorto delle anomalie presenti nella documentazione medica segnalando immediatamente tutto alla procura. In questo caso, l’ipotesi di reato contestata è la frode processuale. L’indagine che coinvolge complessivamente oltre cento indagati – sono 44 i casi accertati di soggetti che hanno riscosso le indennità non dovute – è ancora in corso. In attesa di ulteriori sviluppi, i militari stanno concludendo – in queste ore – una serie di perquisizioni e si registra, questo il dato importante sottolineato dal procuratore Capomolla, la «disponibilità di contanti per un valore significativo». Tutte queste banconote rinvenute presumibilmente sono frutto dei proventi ottenuti dall’indagato – questa l’ipotesi dell’accusa – ma è chiaro chiaro che sarà necessario dimostrare la solidità delle ipotesi accusatorie.
Tornando agli elementi dell’inchiesta, il modus operandi utilizzato è stato oggetto di analisi del procuratore: «Il ricorso al giudice del lavoro avviene nei casi in cui il soggetto rivendica di avere una patologia che lo rende inabile al lavoro o talmente grave da compromettere gli atti quotidiani e in questo caso vi è il ricorso alla richiesta di accompagnamento». In alcuni casi, come da indagine, i ricorsi hanno riguardato anche il riconoscimento dello stato di invalidità (legge 104). Ma cosa ha permesso agli investigatori di scorgere profili di illegalità? «Sono stati alcuni ricorsi presentati e la ripetitività di alcune patologie che hanno indotto i giudici del lavoro a segnalare i casi alla procura della Repubblica», precisa Capomolla.

I benefici

Tutto ruota sull’ottenimento di benefici a scapito evidentemente di chi realmente soffre di patologie invalidanti. Nella produzione di questa documentazione si faceva riferimento a strutture sanitarie dislocate su tutto il territorio nazionale, non solo su quello calabrese. «Gli accertamenti presso le strutture sanitarie – aggiunge il procuratore – hanno rilevato l’inesistenza sia delle visite mediche e sia della documentazione medica che era invece stata allegata». Il numero dei ricorsi e dei ricorrenti è elevato. «Si tratta di decine e decine di ricorsi per i quali l’istituto di previdenza ha corrisposto e stava corrispondendo il beneficio», motivo per il quale si è reso necessaria «l’esecuzione di un sequestro preventivo d’urgenza (ammonta ad oltre 1,5 milioni di euro)».

Le raccomandazioni

La procura di Cosenza ha ritenuto di doversi concentrare sulla figura dell’uomo finito ai domiciliari, un professionista impegnato nei locali di un patronato che «cercava di agire senza dare nell’occhio» senza dare «evidenza al fatto che fosse all’interno di questo patronato» e infatti «erano chiare le raccomandazioni che forniva ai suoi “assistiti”», in modo da catechizzarli in vista di possibili escussioni da parte della polizia giudiziaria.

Il «regista»

Quando il colonnello Mommo e il procuratore Capomolla si riferiscono al principale indagato, la definizione spesso utilizzata è quella di «regista». Animato da un «senso di impunità», «si muoveva in tutta la provincia, sulla Ionica e sull’area di Cosenza, l’area rendese e aveva i suoi interessi un po’ ovunque. Molti di questi incontri, li svolgeva anche all’esterno davanti ad alcune attività commerciali per non attirare l’attenzione», precisa il colonnello Mommo. Tutte le ipotesi e le fonti di prova raccolte, «dovranno essere conclamate, ma danno già la certezza di quanto sia grave questo fenomeno. Basti pensare che riferiamo di una situazione limitata alla sola provincia di Cosenza ma che vede un numero corposo di persone coinvolte. L’accertamento è limitato all’ultimo triennio». (f.benincasa@corrierecal.it)

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