Il calcio tra ‘ndrangheta, camorra e mafia: un legame mai spezzato
I recenti casi di Crotone, Juve Stabia e Foggia hanno riportato al centro dell’attenzione una realtà ancora viva e inquietante: il radicato legame tra pallone e criminalità organizzata

È un ritorno inquietante. O forse, a voler essere onesti, è solo un nuovo capitolo di una storia mai davvero chiusa: quella tra il calcio e le mafie. Un legame opaco, che riemerge a ondate, puntuale come il fischio dell’arbitro ogni domenica.
Le inchieste più recenti – che hanno coinvolto club come Juve Stabia, Foggia e, con particolare rilevanza per la nostra regione, l’Fc Crotone – riportano in primo piano una realtà che sembrava appartenere a un’altra epoca. Quella degli anni Ottanta e Novanta, delle infiltrazioni silenziose, delle curve controllate, delle società trasformate in terminali finanziari dei clan.
Il caso Crotone: un club sotto tutela
È proprio a Crotone, in una terra segnata da una presenza storica della ‘ndrangheta, che lo sport è tornato a fare i conti con la criminalità organizzata.
Il 16 settembre, il Tribunale di Catanzaro ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno nei confronti della società Fc Crotone s.r.l., squadra attualmente in serie C. La motivazione? Un contesto «profondamente influenzato dalla presenza pervasiva delle cosche locali», come rilevato dagli atti dell’inchiesta Glicine-Acheronte condotta da Polizia e Ros.
Secondo gli atti, «in particolare nei settori della sicurezza e della gestione degli ingressi allo stadio, la società Fc Crotone avrebbe operato in un contesto vulnerabile a pressioni e influenze da parte di soggetti legati alla criminalità organizzata». I giudici parlano di «un sistema condizionato da logiche mafiose, tali da giustificare l’amministrazione giudiziaria per un anno».
Si tratta, tuttavia, di una realtà che a Crotone affonda le radici più indietro nel tempo. Già negli anni Novanta e Duemila, la gestione del club era finita al centro dell’attenzione giudiziaria, con dichiarazioni di pentiti come Luigi Bonaventura – cugino degli imprenditori Vrenna – che descrivevano presunte interferenze della criminalità organizzata nel mondo calcistico locale, fino alle partite ritenute decisive per le promozioni. In quel periodo, alla guida della società c’era Raffaele Vrenna, poi assolto nel 2017 dalle accuse di associazione mafiosa, estorsione e corruzione nel processo “Puma”.
I recenti casi Juve Stabia e Foggia
A far ancora più rumore è stata la misura d’amministrazione controllata decisa la scorsa settimana – esattamente il 21 ottobre – per la Juve Stabia, oggi in serie B.
Un provvedimento definito «caso scuola» dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, per la portata e la capillarità dell’infiltrazione camorristica rilevata: dai servizi di sicurezza alla gestione biglietti, dalla “cantera” al merchandising, tutto sarebbe stato controllato dai clan D’Alessandro e Imparato.
Una situazione così compromessa da indurre il prefetto di Napoli, Michele di Bari, a parlare apertamente di «bonifica» della società, con la possibilità persino di rinviare alcune partite per riorganizzare i servizi “contaminati”.
Il quadro delineato dalle autorità è quello di una società subordinata alla criminalità organizzata, capace di manipolare i Daspo, alterare accessi allo stadio e usare il calcio come leva di consenso criminale tra i giovani. «Gli spostamenti della squadra, la sicurezza, il beveraggio, le gestione dei biglietti: tutto era nelle mani della camorra», ha rivelato il procuratore di Napoli Nicola Gratteri. «La Juve Stabia è una società che milita in serie B – ha aggiunto il procuratore Gratteri – e questo fa scalpore».
A maggio 2025, era toccato al Calcio Foggia 1920. Qui, più che l’infiltrazione strutturata, a preoccupare è stato il clima di intimidazione. Il presidente Nicola Canonico ha lasciato il club dopo ripetute minacce e pressioni, sfociate in quattro arresti. Le tensioni hanno inciso sulle scelte societarie, sulla serenità degli atleti, fino a ostacolare lo stesso sviluppo sportivo della squadra. Per questo motivo, è stata applicata – per la prima volta in Italia – la misura del controllo giudiziario ex articolo 34 del Codice Antimafia a una società calcistica, nel tentativo di salvare l’impresa dal baratro mafioso senza doverla smantellare.
Un copione già visto. E mai interrotto
Da Rosarno a Laureana di Borrello, da San Luca a Marina di Gioiosa Jonica, passando per Lamezia Terme, Torino e persino Asti, le cronache giudiziarie dell’ultimo ventennio raccontano un calcio minore – ma a volte anche professionistico – funzionale agli interessi delle cosche.
La ‘ndrangheta, la camorra e, in certi contesti, Cosa Nostra, non vedono nel pallone solo passione o consenso, ma un sistema che produce visibilità, denaro, controllo territoriale e legami sociali.
Negli anni, diverse cosche si sono infilate nelle società calcistiche locali e professionistiche: i Pesce di Rosarno, con Marcello Pesce detto “U Ballerinu”, hanno guidato la “Libertas Rosarno” fino alla Serie D, alternando proprietà e gestione fino al 2010 con l’operazione All Inside. A Marina di Gioiosa Jonica, gli Aquino-Coluccio finanziano la squadra con fondi anche dall’estero, come emerso dall’operazione Crimine. Nel 2009 il lutto al braccio di giocatori del San Luca per la morte del boss Antonio Pelle ha testimoniato il legame tra clan e calcio locale.
Nel Cilento, il Sapri Calcio è stato sequestrato per i legami con i Pesce, mentre nel 2015 l’inchiesta DirtySoccer ha coinvolto figure legate alla ‘ndrangheta di Lamezia Terme in un giro di calcioscommesse. A Laureana di Borrello, l’operazione Lex ha rivelato infiltrazioni dei Lamari nella Polisportiva Laureanese.
A livello nazionale, tra i casi più noti c’è quello del bagarinaggio gestito dalla ‘ndrangheta piemontese attorno alla Juventus (2017), con processi che hanno coinvolto dirigenti e ultras, rivelando un sistema di controllo criminale sulla vendita illegale dei biglietti. A Torino e Asti sono emerse infiltrazioni analoghe nelle società calcistiche e nelle tifoserie, mentre a Milano la recente vicenda dell’omicidio di Antonio Bellocco, legato agli ultras dell’Inter, ha acceso i riflettori sulle dinamiche di potere criminale nel tifo organizzato. Il calcio, insomma, non è solo gioco e spettacolo: è terreno fertile per interessi mafiosi che sanno intrecciare sport, affari e controllo sociale.
La partita più difficile
Il calcio, si sa, ha una forza simbolica che poche altre attività umane possono vantare. Ma proprio per questo, è un terreno fertile per chi vuole infiltrarsi, mimetizzarsi e dominare. I provvedimenti giudiziari di questi mesi dimostrano – anche se ancora in piccola parte – che la magistratura ha imparato a intervenire prima che sia troppo tardi, mettendo in campo strumenti nuovi come l’amministrazione giudiziaria e il controllo ex articola 34. Ma la sensazione – amara – è che le mafie nel calcio non siano mai davvero uscite di scena. Hanno solo cambiato ruolo, si sono fatte più sofisticate, meno appariscenti e più manageriali. (f.veltri@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato