Cirò e Strongoli: universi paralleli di un medesimo asse criminale
Il legame tra le consorterie è solido, sono «quasi gemelle». Sul territorio si respira un «pensate clima di assoggettamento»

CROTONE La collaborazione con la giustizia di Gaetano Aloe, in passato ritenuto un fedelissimo con posizione di spicco nel sodalizio di Cirò, ha offerto agli investigatori elementi utili a riscrivere la geografia criminale sul territorio e a far luce su alcune dinamiche successivi al vuoto di potere creatosi dopo le numerosi operazioni condotte. La Dda di Catanzaro, nell’operazione “Saulo“, ha avuto modo di raccogliere indizi e fonti di prova a sostegno dell’accusa mossa nei confronti degli indagati ottenendo riscontri nelle confessioni rese da alcuni pentiti. Senza dubbio, il contributo fornito da Aloe ha permesso non solo di confermare «l’efficienza e la laboriosità del sodalizio Farao-Marincola», ma anche di approfondire il ruolo e il modus operandi delle ‘ndrine considerate «un tentacolo della casa madre di Cirò».
Il triangolo Cirò-Strongoli-Papanice
Poco più di 20 chilometri separano Strongoli da Cirò, le cellule attive nei due comuni del Crotonese sono universi paralleli di un medesimo asse criminale. Il pentito Aloe, quando riferisce in merito agli strongolesi sottolinea, in più occasioni, il carattere «agguerrito e violento» del sodalizio. Il legame tra le due consorterie è solido e chi indaga le ritiene «quasi gemelle per quel che concerne gli obiettivi post detenzione degli affiliati». La fitta rete di rapporti sarebbe stata coltivata da Enrico Miglio, coinvolto nell’operazione “Saulo” e ritenuto «attuale rappresentante della compagine criminale di Strangoli». Non solo Cirò, di rapporti stretti si parla anche in riferimento agli esponenti più rappresentativi delle rispettive consorterie di ‘ndrangheta di Strongoli e Papanice. La presenza sul territorio di picciotti collegati e collegabili al clan fanno supporre l’esistenza di un sistema consolidato, «sostenuto da un pesante clima di assoggettamento che spingeva, i più, a sottostare a qualsivoglia tipologia di richiesta». Il richiamo è al racket delle estorsioni ed al loro carattere “ambientale“. Una circostanza che abbiamo già avuto modo di sottolineare in riferimento ad un passaggio delle motivazioni della sentenza del processo “Reset” e riferita a tutti quei casi in cui «l’attività coercitiva sia perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio, finendo per essere tale attività immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente».
Il padrone di Strongoli e lo “sfratto” al vicino
Enrico Miglio rivendica la propria caratura, ribadendo di essere «il signore di Strongoli». L’esercizio del potere non si riduce ad una mera forma di autocelebrazione, ma assume il peso e il valore di una norma di “legge” quando per esempio l’ordine impartito è teso a piegare – «con l’obiettivo di intimorirlo e farlo desistere da ogni sua pretesa su quel terreno» – un vicino di casa. «Miglio con arroganza – si legge nelle carte dell’inchiesta – lanciava diktat mirati a incutere timore e soggezione nel vicino, rivendicando come suoi quegli spazi». Ma c’è di più. Per chi indaga la «pretesa» non avrebbe carattere giuridico, l’invito rivolto da Miglio al vicino di casa, infatti, diventa un “ordine” imperativo ed è lo stesso indagato a ribadirlo al proprio interlocutore: «Vai via e porta i tuoi stracci». (f.b.)
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