Il cimitero di Condera, un patrimonio da riconoscere
Il complesso è già inserito nel Catalogo dei Beni Culturali. In corso i rilievi della Soprintendenza per aggiornarne la tutela

REGGIO CALABRIA C’è un luogo, a Reggio Calabria, dove il silenzio non pesa, ma racconta. È il Cimitero di Condera, disteso sul pendio che guarda il mare, dove le ombre degli alberi attraversano viali antichi e dove la città torna ogni anno, nel Giorno dei Defunti, a riconoscere sé stessa. Qui la memoria non è un’idea astratta: è pietra, nome, volto, storia.


La nascita del camposanto si inserisce in una stagione di grandi trasformazioni. Dopo l’editto di Saint Cloud, esteso ai territori italiani nel 1806, le sepolture non poterono più essere all’interno delle chiese. Si impose un modello laico e moderno: cimiteri fuori dall’abitato, cintati, organizzati secondo assi regolari. Nel 1817, con le riforme borboniche del Regno delle Due Sicilie, Reggio individuò in Condera la sua collina della memoria. Non più sepolcreti occasionali, ma un luogo pensato: un archivio di comunità.
Il vero spartiacque, il momento che ha ridefinito il paesaggio cimiteriale reggino, fu il terrificante terremoto del 1908. Le proporzioni della tragedia richiesero soluzioni immediate e straordinarie, portando alla costruzione, nel 1909, di due nuovi cimiteri temporanei per accogliere le innumerevoli vittime: uno nella zona del Carcere, l’altro sorse in via Lia.
Questi, però, furono solo luoghi di transito. Come ci tengono a precisare gli storici con le loro accurate ricerche, la destinazione finale delle salme fu Condera. Solo nel 1922 le vittime del terremoto vennero esumate e poi solennemente trasferite nel Cimitero di Condera.
Oggi questo spazio è, per tutti, il Cimitero Monumentale. Così lo chiama il Comune negli atti urbanistici, così lo indicano le mappe, così lo nomina la città nei discorsi e nei gesti. Il Ministero della Cultura lo ha inserito nel Catalogo Generale dei Beni Culturali come “Luogo della Cultura”, mentre molte cappelle e sculture sono già catalogate e tutelate singolarmente. Eppure, l’intero complesso non ha ancora un riconoscimento unitario.


Ma la tutela esiste, manca il provvedimento
«Le parti storiche del cimitero sono già sottoposte a tutela ope legis, perché hanno più di settant’anni, cioè automaticamente, ai sensi del Codice dei Beni Culturali. Non serve alcun decreto per tutelare la porzione storica del complesso, perché la legge la riconosce già come bene culturale. Ogni intervento in quell’area richiede infatti l’autorizzazione della Soprintendenza», ha spiegato la sovrintendente Maria Mallemace, direttrice del Segretariato regionale del ministero della cultura per la Calabria.
Mallemace ha inoltre spiegato che «la Soprintendenza ha già avviato una serie di sopralluoghi sistematici all’interno del cimitero per documentare lo stato di conservazione delle strutture e aggiornare il quadro di tutela. È un lavoro puntuale e progressivo, che richiede tempo perché Condera è un organismo vasto, stratificato e ricco di livelli storici sovrapposti. Il processo è in corso, ma non potrà essere completato in poche settimane».
Quello che manca è solo il passo finale: serve un provvedimento specifico, evidenzia Mallemace, riconoscere Condera non come somma di opere pregiate, ma come organismo storico unitario. Perché qui la storia non è frammento: è tessitura continua.
Lo testimoniano i nomi che riposano tra questi viali: qui si custodisce una parte viva dell’identità reggina. Oltre a Tommaso Gullì, figura simbolo della Resistenza civile della città, Condera accoglie personalità che hanno segnato cultura, politica, arte, impegno civile. L’avvocato e parlamentare Biagio Camagna, voce autorevole del pensiero meridionalista. Il poeta Diego Vitrioli, che trasformò Reggio in parola e musica.
Gli ingegneri della ricostruzione Pietro De Nava e il marchese Domenico Genoese Zerbi, sindaco e parlamentare , artefici della rinascita urbana dopo il terremoto del 1908. Ed ancora gli eroi della guerra: Pasquale Panella, giovane eroe della Grande Guerra, la medaglia d’oro tenente Rocco Polimeni morto nel 1941 in Africa, il giovane mitragliere Mezzatesta, cui fu intitolata la caserma cittadina.
Gli storici Pietro Larizza ed Enzo Misefari, che hanno dato alla città strumenti per interpretare sé stessa. E poi, ancora più vicino al cuore collettivo, l’amatissimo sindaco Italo Falcomatà, simbolo della primavera civile di Reggio.
Accanto a loro, altri nomi che raccontano la forza di una comunità: il Cavaliere del Lavoro Amedeo Matacena, armatore e fondatore della Caronte.


Quando la memoria si fa capolavoro
Passeggiare tra i viali di Condera significa imbattersi in opere di altissimo pregio, dove la committenza, spesso borghese e nobiliare, non badò a spese per onorare i propri defunti, affidandosi ad architetti e scultori di talento. Le cappelle gentilizie si trasformano in piccoli mausolei, con architetture che spaziano dall’eclettismo al Liberty, arricchite da preziose vetrate artistiche e lavorazioni in ferro battuto.
E poi la splendida Cappella Catone, con le otto formelle in altorilievo scolpite da Pasquale Panetta e la Morte che veglia dall’alto, resta una delle testimonianze più alte della scultura funeraria meridionale del primo Novecento. Un’opera che parla di dolore e dedizione, di lutto e di amore, più di mille trattati.
Angeli in lacrime, figure allegoriche avvolte nel dolore, complessi gruppi marmorei in bronzo e pietra: ogni sepolcro racconta non solo una vita, ma anche il gusto, la spiritualità e la maestria artigianale di un’epoca. Condera si configura, dunque, come un luogo dove il culto dei defunti si fonde con l’esaltazione dell’arte, rendendolo una tappa imprescindibile per la riscoperta del patrimonio culturale reggino.
Condera non è un semplice luogo di sepoltura. È un museo all’aperto. E oggi, mentre le famiglie salgono in silenzio lungo la collina, per portare un fiore, un ricordo o soltanto una presenza, la questione torna chiara e impossibile da rimandare. (redazione@corrierecal.it)
