Il caso del museo Steven Tyler a Cotronei tra verità, ruoli e narrazioni
Questa vicenda conferma che la verità non sta in ciò che appare più plausibile ma in ciò che si documenta. E qui, per la verità, c’è ancora molto da documentare

Il fatto è stato presentato come segue. Il Comune di Cotronei ottiene fondi pubblici evocando Steven Tyler, poi snatura il progetto del museo dedicato alla sua figura e lo sposta in un seminterrato, simbolo di una Calabria che usa un nome della musica mondiale per finalità dubbie. Questo racconto ha funzionato, ha viaggiato oltre il Pollino e le Alpi, come sempre accade quando l’eco di un’icona internazionale incontra la piccola cronaca di periferia. La storia sembrava chiusa. Un’amministrazione che non avrebbe mantenuto una promessa, un lontano parente dell’artista che denuncia e rivendica fedeltà all’idea originaria, un’opera che ha tradito il proprio spirito di partenza. Poi arrivano gli atti e la vicenda si muove.
La vicenda
Il 28 marzo 2022, Nino Grassi – avvocato, presidente dell’associazione culturale “Steven Tyler” e cugino in terzo grado dell’artista – invia una diffida al Comune di Cotronei, alla Regione Calabria e al ministero dei Beni culturali. Scrive di agire «in nome e per conto» di Steven Tyler, «quale Presidente dell’associazione», richiamando anche il legame familiare. All’atto, scritto su carta dell’associazione ma non del suo studio legale, non è allegata una procura formale. È un dato oggettivo, non già un’accusa, che suggerisce una domanda essenziale: in quale veste Grassi scriveva per conto dell’artista? Come legale incaricato? Come rappresentante dell’associazione? Come congiunto? Quando una star internazionale entra in una vicenda amministrativa, conoscere questi aspetti è un elemento di garanzia per tutti. Dal canto suo, l’amministrazione comunale di Cotronei sostiene di avere trovato la «delocalizzazione» del museo già decisa dalla precedente, guidata dall’allora sindaco Nicola Belcastro, e un finanziamento attivo da non perdere. L’esecutivo dell’attuale primo cittadino, Antonio Ammirati, ha precisato d’aver completato l’opera pubblica; il che è un punto verificabile. Come lo è il fatto che, prima della chiusura delle indagini, il Consiglio comunale aveva avviato l’acquisizione di Palazzo Bevilacqua, la vecchia casa della famiglia Tallarico, con i proprietari disponibili a cederla gratuitamente. Questo dato è importante, poiché allontana l’ipotesi della corsa del Comune a correggere ex post lo scandalo già esploso. Il quadro giudiziario introduce ulteriori elementi.
Le indagini
La Procura di Crotone ha chiuso le indagini su amministratori e tecnici comunali. Tra gli indagati c’è il sindaco Ammirati, che gode della presunzione di innocenza. Secondo l’impianto accusatorio, nelle elezioni del 2021 egli avrebbe chiesto voti a Massimiliano Loria promettendo incarichi e iniziative pubbliche. Nello stesso fascicolo, Loria, per il quale vale la stessa presunzione di innocenza, è accusato di minacce e di un’aggressione al responsabile tecnico comunale, il quale avrebbe resistito a sue pressioni per il rinnovo di un contratto di fornitura. E risulta che il difensore di Loria è proprio l’avvocato Grassi. Parallelamente, Grassi è imputato in un procedimento per diffamazione su precedente querela degli amministratori, secondo i quali avrebbe usato espressioni inaccettabili in alcune sue esternazioni sulla sorte del museo. Tutto legittimo: il diritto di difesa è intangibile, la critica politica è libera e l’iniziativa culturale è meritoria. Ma quando i ruoli si toccano – accusatore pubblico del Comune, difensore di chi avrebbe tentato di influenzare quel Comune, parte di una narrazione che attribuisce una lesione dell’immagine di un artista – la questione, di indubbio interesse pubblico, è come si tengano insieme questi piani nella sfera civica. Posto che tocca alla magistratura, in ogni caso, stabilire colpe o innocenze, qui si tratta di metodo.
Questa storia, che si voleva semplice – un cantante tradito, un paese che sbaglia, una promessa mancata –, oggi mostra raccordi più complessi. Chi agiva per conto di chi? In base a quale mandato? Quali decisioni ha realmente assunto l’amministrazione e in quali tempi? Quale parte della ricostruzione mediatica ha preceduto gli atti, anziché seguirli? Quali interessi, legittimi, si intersecano mentre la narrazione si sviluppa? Il museo, che abbiamo visto, appare pressoché completato, mentre il palazzo storico è in attesa. L’indagine è chiusa e il giudizio resta lontano. Emerge allora un principio che, tanto caro al compianto giornalista Peppe D’Avanzo, conta più del clamore: «verificare prima di concludere», distinguere i ruoli, separare i racconti dai fatti. In un Paese che spesso confonde le intenzioni con le prove, questa vicenda conferma che la verità non sta in ciò che appare più plausibile ma in ciò che si documenta. E qui, per la verità, c’è ancora molto da documentare.
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