L’assassinio di Aldo Moro, la «micidiale convergenza di interessi diversi» e l’ombra della ‘ndrangheta
Il racconto di Gero Grassi, promotore della seconda Commissione parlamentare d’inchiesta e uno dei più profondi conoscitori dell'”affaire”

CATANZARO «Nella vicenda Moro ci stanno Russia, Stati Uniti, Inghilterra, Israele, Banda della Magliana, Camorra, mafia, ‘ndrangheta, la P2, Gladio, la Nato. Non è che tutti questi hanno fatto un’assemblea per mettersi d’accordo, ma c’era una convergenza di interessi: Moro doveva morire». Gero Grassi è stato il promotore della legge che istituì la seconda Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani e sull’assassinio di Aldo Moro (la Commissione Fioroni, per intendersi), e soprattutto è uno dei massimi conoscitori di una delle più drammatiche vicende che hanno colpito la storia democratica in Italia, tra misteri, tantissimi, interessi inconfessabili e qualche lampo di verità, peraltro ancora parziale. Ecco il racconto di Grassi al Corriere della Calabria su una delle più tragiche “notti” della Repubblica, la barbara uccisione di Aldo Moro. L’occasione è stata l’esposizione a Catanzaro – la prima volta in Italia – della Renault 4 rossa nel cui bagagliaio venne ritrovato il corpo del leader Dc, un’auto che è il “simbolo” degli anni di piombo in Italia ma anche un fortissimo richiamo ai valori della difesa della democrazia.
Il profilo politico di Moro
Intanto, da Gero Grassi un profilo “politico” di Aldo Moro. «Moro era inclusivo, riteneva giustamente che l’intero paese dovesse riconoscersi su alcune tematiche. Non riteneva l’altro come nemico, ma come avversario. Oggi assistiamo a uno spettacolo della politica che invece esaspera il conflitto ed esclude chi perde», ha detto e «chi perde invece fa parte del Paese e su certi temi deve stare dentro, indipendentemente poi da chi vince e da chi perde».

Le “zone d’ombra”
Una storia di misteri che ancora soffocano la verità. Sulla tragica uccisione di Moro ci sono molti documenti – tra cui la relazione finale della Commissione Fioroni – ma le zone d’ombra a distanza di quasi 50 anni sono ancora tante. «La compiutezza nel mondo non esiste, perché – prosegue Gero Grassi – si può fare sempre di più. Ma se io penso al punto in cui eravamo quando siamo partiti nel 2014 e al punto in cui siamo arrivati, quando all’unanimità la Camera ha approvato la relazione, mi vengono i brividi, gli stessi che ho provato nel rivedere la Renault rossa che è esposta qui a Catanzaro. Siamo riusciti a recuperare una gran parte della verità storica. C’è però una parte che è irrecuperabile, perché molti sono morti, molti altri non parlano. Le indagini poi si fanno sulle prove, non sulle teorie». E «se si va a leggere la relazione approvata dalla Camera il 13 dicembre 2017 – sostiene Grassi – l’idea centrale che viene fuori è che in Via Fani c’erano “anche” le Brigate Rosse e che il caso Moro è la conseguenza degli accordi di Yalta del febbraio 1945, quando i vincitori della Seconda Guerra mondiale si divisero il mondo, e l’Italia fu inserita nel sistema americano. Moro, con la sua presunzione di “democratizzare” il Partito comunista di Berlinguer e portarlo al governo per una alternanza tra Dc e Pci, sconvolgeva gli accordi di Yalta. E gli altri gliel’hanno fatto pagare». Insomma, dietro l’uccisione di Moro una micidiale convergenza di molteplici interessi, in gran parte inconfessabili.
Un passaggio Grassi lo riserva anche al Vaticano: «E’ più di una ipotesi –afferma – che la detenzione di Moro sia stata in via Massimi 91 a Roma, sei palazzine dello Ior, l’Istituto per le Opere Religiose il cui gestore era un vescovo, Paul Marcinkus, capo dello Ior, che nello stesso tempo era uomo della Cia, oltre che della P2».

Il ruolo della ‘ndrangheta
E tra le risultanze dei lavori della seconda Commissione Moro anche un presunto ruolo della ‘ndrangheta in alcune fasi dell'”affaire Moro”. Grassi annota: «Il procuratore della Repubblica di Roma all’epoca, Ciampoli, disse: “in Via Fani, la criminalità comune, tra cui la ’ndrangheta, ha aiutato e accompagnato il rapimento Moro”. Il 13 maggio ’78, cioè il giorno in cui il Papa celebrò la messa per Moro senza cadavere, due giornali, “La Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari ed “El País” di Madrid pubblicano il nome di chi ha sparato a Moro: Giustino De Vuono. Ovviamente noi non siamo riusciti a dimostrarlo. C’è un precedente, Giustino De Vuono ha ucciso due persone con la tecnica della “rosata”: il terzo è Moro, quella era la sua firma. La domanda alla quale non siamo in grado di rispondere, è: nel cimitero della sua città c’è il cadavere di Giustino De Vuono o no?». (a. cant.)
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