La rivoluzione dei nuovi eremiti
Forse, opporsi con l’esempio delle proprie vite alla schiavitù di massa è l’unica via di salvezza che ci resta

Tutti conoscono, ormai, la storia dei due coniugi stranieri che vivono fra i boschi abruzzesi, in semplicità, educando da sé i loro tre figli. Ai tanti giornalisti che li assillano di domande, dopo che la Procura dei Minori ha provato a togliere loro la potestà genitoriale, spiegano che vogliono preservare i figli, quanto più possibile, dai condizionamenti dell’istruzione di massa, dalla dipendenza da tecnologie digitali, dal consumismo sfrenato.
Non si tratta di un caso isolato. In Calabria (ma probabilmente in gran parte dell’Italia interna e “minore”) si stanno stanziando persone con intenti analoghi. Chiamerò queste persone, per semplificare, “eremiti”. Anche se non si tratta di eremiti nel senso della fuga dal mondo e dell’isolamento ascetico degli antichi. Ve ne sono di diversi tipi: semi-eremiti religiosi, ospitali e socievoli; persone singole, che si ritirano in case o in paesi abbandonati; famiglie intere come quella dell’Abruzzo; piccole comunità; uomini e donne che rifuggono da città, folle, vitalismo, realtà virtuale; altri che amano l’immersione nella natura; alcuni sono poveri e tali vogliono restare; altri ancora, invece, potrebbero essere ricchi (e forse lo sono già) ma amano vivere come i poveri. Penso che Pier Paolo Pasolini (di cui celebriamo i cinquant’anni dalla morte) amerebbe queste persone; lui che nel 1974 osò dire che “era una profezia da lucidi disperati pensare che la storia dell’umanità fosse la storia dell’industrializzazione totale e del benessere.”
Fatto sta che, durante le mie peregrinazioni pedestri fra le montagne calabresi, non di rado mi sono imbattuto in persone di questo genere e talvolta ne ho anche scritto. Non posso qui, per ragioni di spazio, analizzare il fenomeno con la profondità che vorrei. Per chi vuol conoscere le storie degli “eremiti”, consiglio il canale You Tube di Natalino Stasi, giornalista e filmaker che le raccoglie dalla loro viva voce. Posso però provare ad esporre le mie sensazioni.

Innanzitutto occorre fare attenzione quando si dà in pasto ai media queste persone, di solito schive: potremmo trasformarle in fenomeni da baraccone, con tanto di visite guidate allo “zoo”. Oltretutto, ogni scelta di vita è revocabile, per cui è bene non trattarle ideologicamente. In secondo luogo, dovremmo evitare di giudicarle. In questi giorni ho sentito dire dei coniugi dell’Abruzzo: “vivono come selvaggi”, “sono degli egoisti”, “non amano i figli”, “non hanno il bagno”, “non vanno dal medico”. Tutte falsità dettate dall’osservare questo genere di scelte con il pregiudizio che solo le nostre siano quelle giuste. Osservo poi, che regioni in spopolamento come la Calabria attraggono ormai sempre più gente stufa di vivere in luoghi densamente abitati. È una regola biologica: se un territorio perde una popolazione animale, ecco altri individui di quella specie pronti a prenderne il posto. Infine penso che le persone che fanno queste scelte siano per lo più spiriti liberi, profondi, fors’anche utopici, che immaginano la felicità non come ricchezza, apparenza, successo, secondo i canoni imposti dalla “civiltà” in cui viviamo, ma come la condizione di chi sa farsi bastare poco. E questo non conviene ai padroni del mondo, che hanno bisogno, per accumulare sempre più ricchezze, di gente che produca e consumi.
Immaginate cosa accadrebbe se tutti decidessimo di vivere come i due coniugi dell’Abruzzo: l’intero sistema crollerebbe. Ecco perché istituzioni e media tendono a “normalizzazione” i protagonisti di queste esperienze. Quel che non si vuol capire è che per gli “eremiti” – fuor di metafora: per chi è felice con poco – le relazioni con la natura e con il prossimo sono preziose e il tempo non si può sprecare nella bulimia da lavoro, nell’accumulo di beni superflui, nell’ipertrofia del desiderio. I veri valori, per loro, sono: semplicità, umiltà, essere e non avere (come insegnava Eric Fromm), tolleranza, fratellanza verso tutto e tutti (come predicava Papa Francesco).
Mi piace pensare che il dato comune di queste storie sia una ribellione silenziosa contro la massificazione, l’omologazione, l’artificio. Da qui la ricerca di solitudine, spiritualità, sobrietà. Quest’ultimo termine piaceva molto a un uomo politico di rara saggezza e umiltà, José Mujica, ex presidente dell’Uruguay, morto il 13 maggio scorso. Mujica amava dire: “se veramente vuoi la libertà devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui che però ti tolgono il tempo di vivere”. Ed avvertiva: “Povero non è chi possiede poco ma chi necessita di infinitamente tanto e desidera di più, sempre di più”. Ecco perché le storie dei nuovi eremiti sono in realtà messaggi rivoluzionari. In un tempo in cui la riduzione in schiavitù non viene più necessariamente dalla forza bruta ma dalla connessione in rete, e dalle informazioni che corrono sui media, in un tempo in cui la violenza delle armi non serve a liberare ma ad opprimere, allora, forse, opporsi con l’esempio delle proprie vite alla schiavitù di massa è l’unica via di salvezza che ci resta.
*Avvocato e scrittore