La storia del commissario Serrao che smascherò la Saponificatrice
Il poliziotto calabrese che scoprì la più feroce serial killer del mondo

Questa è la storia di un poliziotto calabrese che scoprì la più feroce e furba serial-killer del mondo. Lui si chiamava Federico Serrao e, rimasto prematuramente vedovo (la moglie era morta dell’epidemia “spagnola” nel 1922, un anno dopo che si era sposato), morì, ormai anziano, alla fine degli anni ’80 nel reparto coronarico dell’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. Lei, l’assassina, Leonarda Cianciulli, morì per apoplessia cerebrale il 15 ottobre 1970 nel manicomio giudiziario di Pozzuoli dopo un passaggio nel manicomio criminale di Aversa dove fu sottoposta alla perizia del professor Filippo Saporito, docente all’Università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa; la giuria valutò solo la seminfermità mentale dell’imputata, seguendo le teorie di Cesare Lombroso, allora molto in voga, mentre Saporito propendeva per la totale infermità causata da una psicosi-isterica.
Il 20 luglio 1946 la Cianciulli venne ritenuta colpevole dei tre omicidi, del furto delle proprietà delle vittime e del vilipendio dei cadaveri, e perciò condannata al ricovero per almeno tre anni in un manicomio criminale e a trent’anni di reclusione. Gli anni della condanna erano stati ridotti a ventiquattro per la semi-infermità mentale, ma poi riportati a trenta per la continuità del reato; inoltre la giurisprudenza di allora negò anche la premeditazione perché la riteneva incompatibile con la semi-infermità. Di fatto, la Cianciulli entrò in manicomio e non ne uscì più. Gli strumenti usati dalla Cianciulli per compiere i tre omicidi sono conservati, dal 1949, a Roma nel Museo criminologico.

Quando a Correggio cominciò a circolare la sparizione contemporanea di alcune persone, iniziarono a indagare i Carabinieri che, però, mollarono subito la presa. Subentrò la Polizia. In quel momento il questore pro-tempore di Reggio Emilia affidò il caso Cianciulli al commissario Federico Serrao. La cui caparbietà investigativa fece il paio con quanto diceva Agata Christie: «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Molto più di una vox populi che pure era circolata subito a Correggio quando la Cianciulli prese dimora. La killer, Leonarda Cianciulli, fu la donna fece tremare l’Italia nel secolo scorso; venuta dal Sud risiedette nella quieta Correggio in provincia di Reggio Emilia.
Lei, madre di famiglia, sposata con un grigio impiegato del catasto, è stata una celebre serial killer italiana, la più crudele, la più feroce (usava arnesi agresti). Uccideva le sue vittime e distruggeva i loro corpi facendone sapone, usando un mix di soda caustica, allume di rocca, pece greca e altri intrugli. Da qui la definizione finale: la saponificatrice di Correggio. Leonarda uccise, tra il 1939 e il 1941 tre donne: Ermelinda Faustina Setti, Francesca Clementina Soavi e Virginia Cacioppo. La prima, ex insegnante in pensione, era una vedova sola e ingenua. La seconda era una maestra in cerca di lavoro. E la terza era un’ex soprano del Teatro alla Scala. E Serrao andò a Piacenza sulle tracce della Soavi, a Firenze per la Cacioppo e a Pola per la Setti.
Nel suo memoriale scrisse: «Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io». In ogni tempo e in ogni luogo ci sono state donne-killer che si sono macchiate di atroci delitti, da Agostina Paglialonga e Sofia Pescatori nell’800 alle sorelle Lidia e Franca Cataldi negli anni ’40, passando per Milena Quaglini e Rina Fort, o all’estero, tra le più celebri assassine seriali della storia mondiale del crimine, dal 1600 in poi si possono ricordare Aileen Wuornos, Waltraud Wagner, Rosemary West, Erzsébet Báthory, Delphine LaLaurie, Leonarda Cianciulli, Vera Renczi, Amelia Dyer, Belle Gunness, Mary Ann Cotton, Jeanne Weber, Beverley Allitt, Karla Homolka.
Insomma, l’umanità non s’è fatta mancare niente. Ma tutte queste figure, messe assieme e citate alla rinfusa, non hanno superato la turpe fantasia di Leonarda Cianciulli che negò, con alterigia, le sue responsabilità finché potette. Sino a quando Federico Serrao la mise con le spalle al muro. Leonarda nacque nel 1893 a Montella, in provincia di Avellino, in un contesto di miseria e disperazione. Lei stessa racconterà di essere frutto di una violenza e di portare su di sé la “maledizione” della madre, che non la voleva. Fin da piccola manifestò un carattere fragile, introverso e superstizioso. Nei suoi diari scriveva di aver sognato più volte bare e premonizioni di morte. Quando sposò Raffaele Pansardi, un impiegato del catasto, la madre la maledisse: “Sarai infelice per tutta la vita”. Da allora, Leonarda si convinse che il destino le era nemico. Le disgrazie non tardano ad arrivare: diciassette gravidanze, dieci aborti spontanei, tre figli morti in tenera età. Restarono in vita solo quattro bambini, e Leonarda giurò di proteggerli a qualunque costo.

Leonarda poté fare quel che fece perché studiò bene le sue vittime e, soprattutto, trovò il modo come non lasciare tracce, al netto della circostanza che del bisbigliare fece la sua “stranezza”. E, forse, se la poteva passare liscia se, per sua sfortuna, non avesse incrociato sul suo cammino l’investigatore che la scoprì e la inchiodò alle sue responsabilità. La vicenda Cianciulli, ispirò tante opere. Cinematografiche, teatrali, audiovisive e letterarie; scrissero molti saggi ma anche romanzi. L’ultimo lavoro, in ordine di tempo, è stato il libro di Maurizio Garuti, “Il caso Cianciulli – La saponificatrice di Correggio” (Edizioni Minerva, 2023), nel quale l’Autore romanza, con addentellati di assoluta verità, la figura del commissario Serrao. Maurizio Garuti ha consultato libri di storia locale, quotidiani dei giorni del processo, documenti degli archivi giudiziari, ma ha saputo rendere vivo l’ambiente di quella città di provincia e memorabile la figura di Leonarda Cianciulli, immergendo quella vera storia criminale nella qualità della sua immaginazione letteraria.
«Ma lasciamo la storia all’inizio del capitolo 17 – si legge nell’abstract del libro di Garuti -, quell’incipit riportato nella quarta di copertina: “Signora Cianciulli, cosa ne ha fatto di quelle tre donne?”, chiese il commissario dopo aver elencato tutti gli elementi di accusa contro di lei. Lasciamo la storia piena ancora di avvenimenti e di colpi di scena per dedicarci al “romanzo di una storia vera” che Maurizio Garuti ci propone. Bel romanzo storico, un misto “di storia e d’invenzione”, come avrebbe detto Alessandro Manzoni, autore amato dal commissario Serrao e dallo stesso Garuti. Alcuni ritratti della Cianciulli sono di mirabile efficacia: “I suoi occhi erano piccoli e incavati, la mascella dura e scarna in una espressione di disgusto”. Ritratti che scavano in un profondo doloroso e terribile: “La nefandezza di quella donna era cresciuta come un fungo maligno sul suo amore materno offeso”. In alcuni momenti la vicenda è resa con un’abilità descrittiva piena di suspense, come l’ispezione al pozzo nero di casa Pansardi alla presenza del commissario e sotto la direzione del professor Crema. In altri momenti la narrazione è insaporita dal grottesco del regime fascista, come quando il pretore raccomanda a Serrao di non far trapelare in nessun modo che la Cianciulli è iscritta al fascio, o come quando lo stesso pretore è preoccupato che il caso Cianciulli cresca come un cancro “minacciando la quiete sociale e la stessa credibilità del Regime”». Durante tutta la detenzione Leonarda Cianciulli continuò a fare i suoi dolcetti. Ma nessuno volle mai assaggiarli.
