Olivicoltura calabrese sull’orlo della crisi
Prezzi fuori controllo, liquidità a rischio, posti di lavoro minacciati. Confagricoltura Calabria chiede un tavolo urgente con la Regione

Il terremoto che sta scuotendo il settore olivicolo non è passato inosservato. Per capire cosa si nasconde dietro un calo dei prezzi dell’olio extravergine tanto improvviso quanto inspiegabile, abbiamo chiesto il suo punto di vista ad Alberto Statti, presidente di Confagricoltura Calabria e membro della giunta esecutiva di Confagricoltura, tra le voci più autorevoli del comparto. Dalla sua analisi emerge un quadro preoccupante, con il prezzo dell’olio extravergine che in poche settimane è crollato fino al 30%, senza alcuna giustificazione. Un’anomalia che lascia aperti dubbi su possibili speculazioni o comportamenti opachi lungo la filiera, spingendo l’organizzazione di categoria a chiedere controlli più rigorosi. Le ricadute sulle imprese calabresi sono immediate. I costi restano quasi invariati, mentre i ricavi precipitano, mettendo a rischio la liquidità, la programmazione della campagna olearia e in alcuni casi la continuità stessa delle aziende. A rendere la situazione ancora più delicata è il confronto con i Paesi extraeuropei, dove impianti intensivi rendono difficile il confronto con gli uliveti tradizionali calabresi. Serve quindi una stagione di innovazione che aumenti produttività e resilienza senza rinnegare la tradizione. Sul fronte politico, viene sollecitato un quadro normativo più semplice, accordi di filiera che garantiscano prezzi equi ai produttori, controlli più efficaci e campagne istituzionali in grado di valorizzare l’olio 100% italiano. Un contributo decisivo potrebbe arrivare dal nuovo Piano olivicolo nazionale, purché dotato finalmente di risorse adeguate e di una strategia chiara.
Qualche dato per il lettore. La superficie olivetata in Calabria è di 198.300 ettari (mappa OLIVEMAP), pari al 17,3% dell’area olivicola nazionale, collocando la regione dopo la Puglia e prima della Sicilia. Le aziende con olivo sono poco meno di 80.000 e rappresentano il 13% del totale italiano dopo Puglia e Sicilia. Oltre l’80% delle aziende calabresi è olivicola e occupa circa il 30% della SAU, la quota più alta tra le regioni italiane.
Come possono essere documentate e contrastate le speculazioni e le frodi dell’olio extravergine d’oliva estero venduto come italiano?
Confagricoltura ha riscontrato un andamento anomalo del mercato, con repentini ribassi anche del 20-30 per cento in meno di un mese sulle quotazioni. Un comportamento non in linea con i “fondamentali” ed i rapporti domanda/offerta. Ci siamo chiesti il perché di questa brusca inversione di tendenza e quel che sospettiamo, è un fenomeno che merita attenzione ed un accurato monitoraggio. Ripeto “sospettiamo”, non abbiamo certezze né tanto meno documentazione a riguardo. Comportamenti anticoncorrenziali o vere e proprie notizie di reato se le avessimo sarebbero già in mano agli organi preposti alla vigilanza del mercato, alle autorità di pubblica sicurezza, quelle frontaliere o alla magistratura. Se avremo questi elementi non esiteremo a metterli a disposizione ma sino ad allora possiamo solo invitare le istituzioni incaricate ad aumentare la vigilanza e i controlli. In maniera da evitare che il comportamento di pochi senza scrupoli si rifletta sull’economia di un settore essenziale del nostro made in Italy e del nostro territorio.
Qual è l’impatto immediato di questo ribasso anomalo sui bilanci delle imprese olivicole calabresi e sulla programmazione della campagna olearia? E quali rischi corre oggi il comparto olivicolo regionale in termini di occupazione e continuità aziendale se il prezzo dovesse restare così basso?
Prima dell’improvviso calo la quotazione di bari dell’olio EVO era intorno ai 9,3 euro/kg che è una quotazione di riferimento per il mercato nazionale. Poi le mercuriali di Bari hanno segnato un calo a 7,4 euro con una riduzione del 20%. In Calabria ormai vengono proposte per l’acquisto partite di olio EVO anche a 6-7 euro/kg. Rispetto ai 9,3 euro/kg questo rappresenterebbe una flessione del 30% del prezzo di mercato. E’ ovvio che i ricavi e la redditività delle imprese si riducono. Basti pensare che in questa campagna i costi sono praticamente rimasti invariati. Secondo i dati ISMEA, nel quarto trimestre del 2024 i costi di produzione degli oli erano solo dell’1,6% inferiori a quelli del trimestre dell’anno precedente mentre nel 2025, almeno sino ad agosto, ultimo mese disponibile come dati, i costi si sono contratti ma solo di un ulteriore 1,3%. Stiamo parlando di variazioni minime e fisiologiche, che non possono confrontarsi con contrazioni del 20-30 per cento. Il calo di redditività mette a rischio la fiducia e soprattutto la liquidità e la tenuta economica delle imprese; una situazione che va corretta quanto prima.
Quanto pesa realmente la differenza di produttività tra un oliveto calabrese di 50 anni e un moderno impianto intensivo nordafricano nella formazione del prezzo finale dell’olio? E Come si può tutelare l’olivicoltura calabrese, che ha un valore storico, paesaggistico e qualitativo unico, dalle dinamiche di mercato imposte da Paesi con costi molto più bassi e impianti giovani ad alta resa?
E’ evidente che la tecnologia e l’innovazione spingono verso efficienza e competitività. Anche sul fronte dei costi oltre che della produttività. Un impianto tradizionale ha maggiori costi e minori rese. Quindi dovremmo ragionare anche sulle possibilità di ammodernare il nostro “oliveto Italia”. Come Confagricoltura chiediamo di riflettere su questo modello di produzione e su come esso può evolvere in maniera da recuperare produzione, produttività, resilienza e competitività. Ci scontriamo con due grossi ostacoli a questo processo: il primo è il ritardo nella programmazione degli interventi e nella messa a disposizione di risorse. Solo ora si sta lavorando ad un vero Piano olivicolo che manca da anni, ma al quale ancora manca una strategia definita e quindi un quadro certo ed adeguato di obiettivi, strumenti e soprattutto di risorse; dobbiamo provvedere quanto prima e far partire le azioni di investimento. Il secondo ostacolo è una certa remora quasi ideologica ad innovare. Sembra che il nostro modello produttivo non possa mai evolvere secondo le nuove tecniche ed i sistemi di allevamento. L’olivicoltura nel mondo si sta aggiornando e noi cerchiamo di ancorarci sempre di più alla tradizione. Con le forme di impianto e con le varietà ad esempio. Qualcuno ha detto che la parola “tradizione” contiene la stessa radice di “tradire”; innovare non significa rinnegare le tradizioni né tantomeno mettere a repentaglio il patrimonio della nostra olivicoltura in termini di qualità e di storia e paesaggio. Dobbiamo coniugare innovazione e tradizione perché senza questo passaggio anche culturale non premeremo mai l’acceleratore sul risanamento dell’olivicoltura italiana che cerchiamo di ottenere.
La Regione Calabria, il Governo e l’Europa come possono garantire che il prezzo riconosciuto ai produttori sia almeno ancorato ai reali costi di produzione, evitando che il mercato venga condizionato da operatori intermedi poco trasparenti?
Al di là di quanto appena detto rimane poi la riflessione che la struttura dei costi in Europa è decisamente diversa da quella degli altri Paesi competitor, ad esempio i Paesi terzi: penso alla manodopera ma anche ai principi attivi utilizzabili per la difesa, ai prezzi dei mezzi tecnici, alle varie “condizionalità” che sono imposte all’olivicoltura ed alla produzione di olio perché lo richiede la complessa normativa unionale e nazionale. Questo è un altro tema di fondo che non possiamo ignorare. Le politiche devono incentrarsi su questi temi prima di tutto rendendo semplice l’ambiente in cui operano gli imprenditori, quelli che producono olive e quelli che la trasformano. Poi vanno incentivate politiche di filiera che valorizzino il nostro prodotto 100% italiano, anche con una idonea campagna di comunicazione. In maniera da avere sullo scaffale un plusvalore riconosciuto alla nostra qualità dal consumatore; plus valore che poi deve essere ridistribuito “dalla tavola sino al campo”. Una qualità sostenibile di filiera orientata al mercato; che si ottiene con questi modelli di mercato e volti al consumatore, non certo imponendo vincoli e limitazioni. Tutto questo può tradursi in accordi di filiera tra produttori e trasformatori che magari prevedono anche una fissazione dei prezzi indicizzati in base ai costi; in passato Confagricoltura ha messo a punto simili modelli, che potrebbero essere incentivati ancora di più dalle politiche. Sul mercato “opaco” o peggio inquinato da veri e propri fenomeni delinquenziali, come detto in apertura, si può e si deve solo agire rafforzando i controlli e le verifiche delle istituzioni preposte. Abbiamo in corso di approvazione in Parlamento anche un ddl collegato alla scorsa legge di bilancio 2025 che è dedicato alle sanzioni a tutela dei prodotti alimentari italiani. Non aumentiamo solo le sanzioni che oltre certi limiti hanno aumentano solo in maniera limitata la deterrenza; investiamo invece di più nei sistemi di controllo, reprimendo le condotte irregolari e gli abusi se ci sono. Parallelamente, riteniamo urgente, avviare efficaci campagne di comunicazione istituzionale per far comprendere al consumatore il reale valore dell’olio extravergine “100% italiano”, evidenziandone la sostenibilità, la qualità, la salubrità e gli elevati standard produttivi che lo distinguono da molte importazioni prive degli stessi requisiti. In tale prospettiva, assume un ruolo decisivo l’avvio il prima possibile delle attività previste dal Piano olivicolo nazionale, che potrebbe contribuire in modo significativo anche attraverso un adeguato capitolo dedicato alla promozione. (p.militano@corrierecal.it)
*direttore Corriere della Calabria
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