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da amantea a boston

La storia di Angela, una calabrese ad Harvard impegnata nella lotta ai tumori: «La mia ricerca nasce dal dolore»

Un forte e improvviso dolore, lo studio autonomo e la collaborazione con la prestigiosa università a soli 19 anni. «In Calabria ho le mie radici»

Pubblicato il: 23/11/2025 – 17:30
di Marco Russo
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La storia di Angela, una calabrese ad Harvard impegnata nella lotta ai tumori: «La mia ricerca nasce dal dolore»

Dalle spiagge di Amantea ai corridoi della prestigiosa Harvard Medical School, al fianco di luminari della medicina e della ricerca in campo patologico e oncologico. È una storia di resilienza che intreccia dolore e talento quella di Angela Pia Caicco, classe 2003, originaria della provincia di Cosenza e studentessa di medicina a Roma. A soli 19 anni, nel 2022, è entrata a far parte del laboratorio di patologia di Harvard, guidato dalla professoressa ed esperta Li Chai, dove da ormai 3 anni è impegnata in prima persona nella lotta contro i tumori e nella prevenzione. «La mia ricerca è nata dal dolore e l’ho portata avanti per amore» spiega in un’intervista al Corriere della Calabria. “Sunny doctor”, come è stata soprannominata a Boston, racconta la sua storia e l’arrivo a Cambridge nella “famiglia” di Harvard, sostenuta da sua madre e sua sorella e partita dalla Calabria, dove non esclude – in futuro – di tornare a dare un contributo.

Una storia che nasce dal dolore

Il suo percorso inizia dal dolore di una perdita improvvisa. Uno di quei momenti che ti travolgono e ti obbliga a fare i conti con la fragilità della vita. A soli 16 anni, Angela riceve una chiamata dalla nonna paterna: «Papà ha perso conoscenza, non si sveglia più». Quando arriva è ancora lì, disteso a terra, mentre invano i medici cercano di rianimarlo. «È morto tra le mie braccia. Ho vissuto il suo ultimo battito, come se avesse aspettato per salutare sua figlia» ricorda Angela. Il padre Giuseppe, stimato psichiatra calabrese, era malato di tumore, ma si scoprirà solo dopo. «Per noi è stato un fulmine a ciel sereno. Era asintomatico, persino dai controlli che faceva spesso non è risultato nulla. Un tumore raro e incurabile» spiega. A 16 anni non è facile fare i conti con un dolore improvviso, quando di fronte la morte di un familiare ti assale un senso di impotenza e rabbia, con il rischio di venire sopraffatti. «Il dolore era immane, un genitore è una figura che non si può rimpiazzare. Però mi sono detta che dovevo andare avanti e l’ho fatto soprattutto grazie a mia madre e mia sorella».

I primi libri di patologia e lo studio autonomo

«In quel momento inizio a pormi delle domande. Non riuscivo ad accettare di aver perso mio padre in quel modo, senza che nessuno riuscisse a spiegarmi il perché». Angela compra il primo libro di patologia, comincia a studiare in modo autonomo e a seguire corsi certificati. Un anno dopo vince una borsa di studio per partecipare al Model United Nations che, in quel periodo, si svolge negli Emirati Arabi Uniti. «Mi assegnano la commissione sanità, inizio ad avere a che fare con la salute pubblica, con la prevenzione e i tumori rari». Un primo approccio con il mondo della ricerca e il rientro a casa, in Calabria, dove comincia ad “abbozzare” un progetto di ricerca, solo qualche «appunto scritto su un foglio» in attesa della maturità che arriva poco dopo. «Ho continuato a mantenere rapporti internazionali con chi avevo conosciuto e sono diventata volontaria Airc. Credo molto nella collaborazione e nel fare rete in ambito sanitario, soprattutto quando di fronte hai mali incurabili che non conoscono confini».

La “chiamata” di Harvard

Dalla scuola Angela esce a pieni voti ed entra in medicina, ma nel frattempo comincia a mandare le sue idee in giro, una sorta di “cold e-mailing” che porta risultati. Ad una di queste e-mail risponde Harvard. «Mi hanno contattato una prima volta dal laboratorio di radioterapia, ma non risposi perché era un periodo difficile e non mi sentivo ancora pronta. Poi, il giorno di San Francesco di Paola, mi hanno scritto di nuovo: questa volta dal laboratorio di patologia. Dopo un colloquio mi hanno preso per uno stage estivo. Io sono esplosa di gioia, non mi aspettavo mi tenessero in considerazione a soli 19 anni. Ero una delle collaboratrici più giovani, ma mi hanno accolta e fatto sentire come a casa». Angela inizia a fare da spola tra Boston e Amantea, dove torna spesso a trovare la madre e la sorella. «Mi assegnano gli studi sul tumore al pancreas. È stato difficile leggere le motivazioni per cui era morto mio padre e che, se anche lo avessi saputo, non avrei potuto salvarlo».

Harvard e un possibile futuro in Calabria

Il suo percorso di ricerca procede a vele spedite, arriva la collaborazione con il Broad Institute, il ponte tra Harvard e il MIT, e primi risultati degli studi sulla mappatura dei tumori e sulla loro variazione che vengono presi in considerazione dal Dana-Farber Cancer Institute. Così, scaduti i mesi di stage, il laboratorio decide di “reclutarla” definitivamente, affidandole studi in ambito patologico e oncologico in vista anche di future pubblicazioni su riviste specializzate. Nel suo percorso, però, Angela non esclude un ritorno in Calabria. «Dipenderà dalla specializzazione, ma non dimentico le mie radici. Sono legata alla mia terra, ne riconosco il valore ma anche i problemi. A volte sono problemi che non si possono risolvere facilmente o con la bacchetta magica, ma noto che lentamente si sta cercando di migliorare. Io dico sempre che sono fatta dalle radici da cui vengo e da ali per volare, ma in futuro mi vedo tornare e dare un contributo alla Calabria».

L’arte dell’empatia e un messaggio da lanciare

Un’esperienza che cambia la vita di Angela. «Mi hanno insegnato soprattutto l’umiltà e il legame con il paziente. In Italia forse abbiamo la tendenza a osannare e ingigantire la figura del medico, ma un bravo professionista è quello che riesce a instaurare un rapporto empatico con loro e con i familiari». Non a caso, negli ospedali americani in cui è stata i pazienti la chiamano “Sunny doctor” per il modo in cui cerca di instaurare un rapporto. Ma anche per il tatuaggio che ha sul braccio, un piccolo sole: «Me lo sono tatuato in ricordo di mio padre. Lui mi ripeteva spesso che dobbiamo apprendere l’arte dell’empatia, che non è vero che si nasce empatici ma è qualcosa che si può imparare». Anche per questo Angela racconta la sua storia: lanciare un messaggio a chi, soprattutto tra i giovani, si sente spaesato, in difficoltà o in un periodo negativo: «Io ho sofferto tanto, ma ce l’ho fatta. Si può vivere un “lutto” emotivo di tanti tipi: chi non ha più motivazioni per andare avanti con l’università, chi è stato lasciato e non trova più le forze, chi si sente a disagio nella società. L’importante è credere in se stessi e andare avanti, ognuno con i propri tempi e il proprio percorso».

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