Appello degli editori: «Subito regole per le big tech»
Fieg, Aie e Confindustria Radio Tv: c’è un rischio sistemico per la collettività

ROMA Il ruolo degli editori “è minato dall’operato delle grandi aziende digitali globali che hanno alterato profondamente le dinamiche del mercato e i principi base della sana concorrenza”. Lo scrivono Fieg, Aie e Confindustria Radio Tv in un appello congiunto, che segna un nuovo capitolo della battaglia per l’uso dei contenuti da parte delle big tech, che secondo le aziende dei media sta comportando non solo forti perdite di ricavi, ma anche “un rischio sistemico per la collettività”, con “una ridotta capacità di investire e di innovare, una progressiva desertificazione culturale e un deterioramento del controllo democratico”. E’ di poche settimane fa l’ultimo intervento in materia della Commissione europea, che ha aperto un’indagine formale contro Google per presunta violazione del Digital Markets Act, la normativa comunitaria che regola le grandi piattaforme digitali. L’accusa è di aver penalizzato sistematicamente i contenuti degli editori nei risultati di ricerca attraverso una policy anti-spam introdotta nel marzo 2024, relegandoli in posizioni meno visibili. Due mesi fa la stessa Fieg aveva preso di mira il gigante di Mountain View, presentando un reclamo formale all’Agcom, sulla linea di quanto avvenuto nel resto del continente, contro il servizio AI Overviews di Google che violerebbe il Digital Services Act. Secondo gli editori le risposte AI alle domande degli utenti, integrate direttamente nell’elenco dei risultati di ricerca, non rendono necessario cliccare sulle fonti originali, ossia i siti di informazione. La polemica è dunque più viva che mai, tanto che ora gli editori lanciano questo nuovo appello alle istituzioni, chiedendo sostegno e regole. “Questa emergenza deve essere compresa e risolta immediatamente – scrivono -. Invitiamo il Governo e il Parlamento a delineare con urgenza politiche e normative per riequilibrare il mercato e garantire un futuro al valore economico, sociale e culturale dell’impresa editoriale italiana, presidio insostituibile della nostra democrazia e della libertà di informazione”. L’elenco delle doglianze è lungo: dallo sfruttamento dei contenuti senza riconoscere, se non molto marginalmente, i diritti d’autore all’offerta di servizi digitali a titolo gratuito in diretta competizione con le fonti originali, ricevendo in cambio dati personali che sfruttano per trattenere la gran parte dei ricavi pubblicitari; dall’uso di algoritmi non trasparenti, che pongono gli editori in una posizione di dipendenza, limitandone la capacità di raggiungere direttamente i cittadini, fino alla pretesa da parte delle big tech di un’immunità su quanto avviene nelle loro piattaforme. Per questo gli editori chiedono “un approccio complessivo alle politiche del settore, lavorando in modo coordinato sulla protezione dei diritti d’autore, gli incentivi all’innovazione nel settore, altre misure di sostegno, le politiche della concorrenza, quelle fiscali, la fase applicativa dei regolamenti europei sui servizi e sui mercati digitali (DSA e DMA) e sull’intelligenza artificiale (AI Act)”. Negli ultimi anni diversi paesi hanno cercato di introdurre meccanismi per garantire una remunerazione equa agli editori quando i loro contenuti vengono utilizzati dalle grandi piattaforme tecnologiche. Lo hanno fatto ad esempio Australia e Canada, ma la stessa linea è dettata anche dalla direttiva europea sul copyright che prevede compensi per l’utilizzo di articoli giornalistici. Le normative hanno spesso determinato battaglie legali, poi generalmente sfociate in accordi commerciali. Uno degli ultimi episodi che ha fatto discutere è stata la sentenza di un tribunale spagnolo che ha condannato Meta a pagare 542 milioni di euro a un gruppo di editori di stampa locale per aver violato le normative sulla protezione dei dati e aver creato una concorrenza sleale attraverso la pubblicità sui suoi social network. (Michele Cassano – Ansa)
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