Al “tavolo verde” tra clic e riciclaggio, la ‘ndrangheta e il business del gioco d’azzardo
L’infiltrazione capillare grazie a sinergie criminali: il salto di qualità con Malta hub cruciale. Dall’operazione “Black Monkey” a “Galassia” e “Glicine Akeronte”

ROMA Terreno fertile per le organizzazioni mafiose, con oltre 157 miliardi di euro all’anno giocati, a sedersi “al tavolo verde” del gioco d’azzardo sono sempre più clan. L’alta redditività e le pene relativamente miti per i reati connessi al gioco spingono queste organizzazioni verso “vere e proprie sinergie criminali”, come spiegato nella Relazione della Commissione Antimafia citata da Libera nel report “Azzardomafie 2025”, che traccia una mappa allarmante dell’infiltrazione mafiosa a livello nazionale e internazionale, con un’evoluzione del modus operandi che combina la violenza tradizionale con il know-how tecnologico. Il report di Libera non lascia spazio a dubbi: «al “tavolo verde” giocano e vincono le solite famiglie: Casalesi di Bidognetti, Mallardo, Santapaola, Condello, Mancuso, Labate, Lo Piccolo, Capriati. Accanto alle tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, Camorra e Cosa nostra, compaiono però anche altre organizzazioni criminali di origine italiana: banda della Magliana, Sacra Corona Unita, mafia foggiana, Stidda».
La mappa dell’infiltrazione
«Sinergie criminali» evidenti in indagini come l’Operazione Galassia, avviata nel 2018 e coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, ha integrato diversi procedimenti condotti dalle Procure di Reggio Calabria, Bari e Catania. L’inchiesta ha svelato uno dei più grandi casi di riciclaggio di denaro legato al mondo delle scommesse, con ramificazioni consistenti anche all’estero. Per Cosa Nostra aderivano al cartello membri delle famiglie Santapaola-Ercolano e Cappello (provincia di Catania), mentre per la ‘ndrangheta erano coinvolte le cosche Tegano, Caridi, Borghetto, Zingato, Franco, Piromalli, Pesce e Bellocco. La Puglia era presente con la storica famiglia dei Martiradonna, componente a sua volta del clan Capriati di Bari. «Si era così creato un rapporto pienamente sinallagmatico tra organizzazioni mafiose e imprenditori: da un lato, l’imprenditore riusciva ad estendere la propria rete sul territorio controllato dai clan, ottenendo in cambio protezione; dall’altro, invece, le organizzazioni criminali avevano la possibilità di accedere alle competenze tecniche dell’imprenditore per ottenere guadagni illeciti o per riciclare denaro di provenienza illegale».
Il salto generazionale del crimine è stato icasticamente espresso in un’intercettazione dell’ordinanza Galassia. L’imprenditore Martiradonna, alleato con il boss Giuseppe Capriati, criticava l’approccio “antico” della mafia, affermando: «Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali, tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada che vanno a fare così ‘bam, bam!’. Io cerco quelli che fanno così ‘pin, pin!’, che cliccano, quelli che cliccano e movimentano denaro: è tutta questione di indice e di competenze tecniche».
A livello territoriale – come emerge dal report – il Sud Italia è la culla dell’infiltrazione, con la Campania che guida la classifica con 40 clan attivi nel settore, seguita da Calabria (39) e Sicilia (38). Ma il fenomeno è ormai nazionale, con il Lazio (24) e la Puglia (22) in posizioni di rilievo. L’onda lunga del crimine tocca anche il Settentrione: persino in regioni come Liguria e Piemonte i clan “primeggiano” con 9 presenze ciascuna. L’entità del fenomeno si riflette nei beni sequestrati: delle 125 aziende confiscate alle mafie nel settore dell’intrattenimento, ben 70 (più della metà) riguardano specificamente sale gioco e scommesse.
Malta: l’isola del riciclaggio
Il salto di qualità della criminalità organizzata ha trovato in Malta un hub finanziario e tecnologico cruciale. La rapida liberalizzazione del gioco online sull’isola, unita a controlli deboli, ha aperto le porte ai clan italiani, in particolare alla ‘ndrangheta.
L’inchiesta della giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia aveva già documentato come i clan sfruttassero piattaforme con licenza maltese per riciclare denaro. Il meccanismo era semplice: le agenzie in Italia raccoglievano il contante, instradandolo attraverso server a Malta; le perdite restavano sotto controllo mafioso, trasformando le vincite in guadagni apparentemente legittimi. Le autorità italiane hanno più volte lamentato le difficoltà di collaborazione istituzionale. Il procuratore antimafia Nicola Gratteri, ad esempio, dichiarò che era «più semplice lavorare con le autorità colombiane che con quelle maltesi». Il problema, come evidenziato da Caruana Galizia, non era solo l’infiltrazione, ma una rete di connivenze locali fatte di avvocati e figure d’affari pronte a fungere da prestanome.
Il monopolio della ‘ndrangheta tra gioco legale e illegale
La ‘ndrangheta calabrese dimostra una capacità camaleontica di inserirsi in tutti gli anfratti del settore. L’operazione “Glicine Akeronte” (2023) della Dda di Catanzaro ha svelato come la cosca Megna di Papanice avesse creato un quasi-monopolio nel gaming. Il gip Antonio Battaglia, nell’ordinanza, ha definito il settore del gioco come un «fertile terreno per conseguire facili guadagni, anche attraverso mirati accordi con esponenti di altri territori.” Questo controllo «soffocante e capillare” veniva esercitato non solo sui giochi illegali, ma anche sulle slot legali. L’imprenditore di riferimento della cosca, infatti, «nel momento in cui si trattava di dover proporre il noleggio sia delle macchinette per il gioco lecito sia il noleggio dei totem, ricorreva all’appoggio del referente criminale locale».
Un business si estende. La storia di Nicola Femia, affiliato alla cosca Mazzaferro e poi capo di una ‘ndrina autonoma in Emilia-Romagna, è emblematica. Femia creò un vero e proprio impero trasformando il gioco d’azzardo nel «polmone finanziario» dell’organizzazione. L’indagine “Black Monkey” (2013) ha rivelato come Femia controllasse l’intera filiera, inclusa la produzione di schede per slot machines, anche contraffatte. (m.ripolo@corrierecal.it)
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