La “lezione” di ‘ndrangheta della Dda: così le cosche «governano destini e territori per sopravvivere»
La Procura deposita la memoria per l’Appello del maxi-processo. E i pm parlano di «approccio da scienziato» per analizzare il fenomeno dei clan calabresi

VIBO VALENTIA Una “lezione” di ‘ndrangheta, una serie di riferimenti e nozioni che, almeno nel suo intento, aiutano a semplificare (per quanto possa essere possibile) un quadro di per sé complesso. Questo (e molto altro) nelle centinaia di pagine di memoria depositate dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro nell’appello del maxi-processo “Rinascita-Scott” celebrato nell’aula bunker di Lamezia Terme, la cui sentenza è attesa entro la fine dell’anno. A firmarla i sostituti procuratore Luigi Maffia, Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci.
Luigi Mancuso
I pm fissano un primo punto: la figura di Luigi Mancuso la cui posizione è stata stralciata per essere giudicato nel processo “Petrolmafie” e condannato a trent’anni di reclusione. Solo l’approccio “unitario” e la messa a fuoco del ruolo di Luigi Mancuso consentono di comprendere «le dinamiche che stanno alla base di quelle estorsioni che vanno al di là del canone classico secondo cui la cosca che opera sul territorio X fa le estorsioni sul territorio X». Anche perché molte culminano su un territorio Y, cioè «un territorio terzo rispetto alle cosche di provenienza, di appartenenza degli autori dell’estorsione, che appartengono a loro volta a diverse articolazioni territoriali».
L’esempio Pizzo
Secondo la Dda di Catanzaro l’esempio classico è quello che avviene nel territorio di Pizzo a proposito della costruzione del complesso parrocchiale. «Pizzo – scrivono i pm – è territorio di confine, territorio dove interagiscono le cosche Bonavota, Mancuso e Anello» e quindi l’attività estorsiva prende forma come una risultante di forze, «ognuna delle quali seguirebbe la propria direzione, e alla quale Luigi Mancuso dà invece una direzione univoca». Per la Dda del capoluogo, quindi, si tratta di una ricostruzione che serve a comprendere per quale motivo, attraverso quali dinamiche e secondo quali regole non scritte «si confrontano forze contrapposte su un’estorsione e su come e perché l’ultima parola spetta indiscutibilmente a Luigi Mancuso» perché, sottolinea nella sua memoria, quella di Luigi Mancuso non è una mediazione dal momento che «stabilisce cosa si deve fare e questa sua volontà vale per i Bonavota e vale anche per gli Anello, e così via».
«Un approccio come quello dello scienziato»
Un quadro a 360 gradi che sarebbe emerso solo nel corso del processo “Rinascita-Scott” che, a differenza di “Petrolmafie” o “Imponimento” e “Maestrale”, un panorama «che sarebbe anche potuto andare ben al di là del solo processo» per i pm della Dda che richiamano, nella lunga memoria, la sentenza “Crimine” dalla quale si legge «di “equilibrio tra centralismo delle regole e autonomia operativa”» che poi è il «cuore di un meccanismo grazie al quale questo fenomeno associativo così complesso è riuscito a sopravvivere a sé stesso e al tempo», governando criminalmente la Calabria pe decenni grazie ad una «“classe dirigente” che ha costruito questo sistema di regole». In questo contesto complesso, dunque, l’esortazione del pm è quella di avere «un approccio come quello dello scienziato» perché aderire alla ‘ndrangheta significa non soltanto «entrare nella singola locale, ma aderire a un programma criminoso molto più ampio e più vasto», che va molto al di là del singolo territorio e che consente «il migliore funzionamento dell’organizzazione tutta e il raggiungimento dei suoi obiettivi criminali», sottolineano ancora i sostituti procuratori della Dda.
Nella memoria depositata i pm hanno anche spiegato che «nel momento in cui si aderisce a questa organizzazione, si fanno proprie quelle regole, le si osservano per una “più alta” finalità criminale perché, a differenza, ad esempio, di Cosa Nostra all’epoca dei Corleonesi, dove c’era un capo che sostanzialmente dettava la linea e che ha influenzato tutta l’azione criminale in un certo arco temporale e, secondo alcuni, ha determinato, se non l’autodistruzione, il forte indebolimento di Cosa Nostra, nella ‘Ndrangheta è tutto molto più sofisticato, tutto molto più funzionale».
‘Ndrangheta fenomeno «predatorio ma anche transattivo»
La ‘ndrangheta «è un fenomeno predatorio, si basa sulla violenza, sulla forza, sulla coazione, ma è anche un fenomeno “transattivo”», sottolinea ancora De Bernardo, un fenomeno «essenzialmente basato su una transazione tra il mafioso e l’utente della mafia, in ragione dell’offerta (del primo al secondo) di protezione – nel senso della assicurazione che l’attività imprenditoriale sia portata a termine senza fastidio – e quindi sulla logica dello scambio pizzo/protezione, tant’è che si parla, in sociologia, delle mafie come delle “fabbriche di protezione”». Ed è anche necessario che in una zona «esista qualcuno che può assicurare questa protezione, cioè che può assicurare che la sua parola (e volontà) valga “erga omnes” e che gli altri criminali non possano agire diversamente», sottolinea ancora il pm nella sua memoria.
Un sistema che «non contrasta con l’esistenza di faide, di contrapposizioni militari anche sanguinose e che rientrano nella patologia di un fenomeno che però, nella sua fisiologia, è questo: un’affidabile rete di rapporti tra referenti criminali “certificati” che garantisce il monopolio del controllo del territorio attraverso regole comuni». (g.curcio@corrierecal.it)
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