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navi a perdere e veleni

Trent’anni di verità sommerse. La storia del capitano De Grazia, tra ombre e la speranza di verità

La ricostruzione delle indagini e della morte sospetta durante una missione segreta, nel podcast “A chi interessa”. L’autrice Maria Vittoria Sparano: «C’è l’esigenza di verità e giustizia»

Pubblicato il: 13/12/2025 – 18:32
di Mariateresa Ripolo
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Trent’anni di verità sommerse. La storia del capitano De Grazia, tra ombre e la speranza di verità

ROMA Trent’anni di misteri e interrogativi, ombre che aleggiano intorno alla morte del capitano Natale De Grazia. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995 il capitano di fregata, che stava indagando sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi e le imbarcazioni affondate nel Mar Mediterraneo, moriva a soli 39 anni per cause che apparvero, sin dai primi momenti, altamente sospetti.
«È una storia densa, intricata e direi, quasi, affollata. Affollata di persone, di presenze, più o meno evidenti, e piena di vuoti. Uno di questi riguarda proprio la certezza e la chiarezza sulla morte del Capitano Natale De Grazia. Ma c’è anche un vuoto narrativo, se così si può dire. Nel senso che in tanti anni, forse, è mancato parlarne con continuità e soprattutto è mancata la diffusione mediatica nazionale. Molte persone in verità, in tutti questi anni, hanno contribuito a tenere in vita l’attenzione sul caso De Grazia, ma questa storia non è mai, purtroppo, entrata nella coscienza collettiva, nell’immaginario collettivo: la prova è che ci sono altre tragiche e non meno complesse storie del nostro Paese che tutti, bene o male, conoscono, o di cui hanno sentito parlare almeno una volta. Per questa storia invece non è così: mi è capitato di chiedere personalmente a persone diverse per età e provenienza geografica se conoscessero questa storia e nove volte su dieci mi è stato risposto di no, mai sentita”. A parlare al Corriere della Calabria è Maria Vittoria Sparano, autrice del podcast “A chi interessa”: sette puntate dense di testimonianze e documenti ufficiali che hanno l’obiettivo di fare nuova luce intorno a un caso che non può e non deve essere dimenticato: «Per una storia tanto complessa e articolata, l’unica scelta possibile era quella cronologica: seguire la cronologia degli avvenimenti sulla base dei documenti datati e delle testimonianze direttamente raccolte. Su questa linea del tempo ho poi scelto alcuni segmenti da approfondire per raccontare la storia di quello che successe in un tempo precedente a quello in cui si sviluppa l’arco narrativo principale, come, per esempio, nel caso della Rigel e della Rosso». 

Le “navi a perdere” e l’avvio dell’indagine

«Nel 1994, a seguito di un esposto di Legambiente, la Pretura Circondariale di Reggio Calabria apre un’inchiesta destinata a fare la storia della lotta ai crimini ambientali. Un’indagine che parte dalle grotte dell’Aspromonte per poi spostarsi sulle rotte delle navi. Quell’inchiesta per la prima volta tenta di scendere negli abissi del Mediterraneo, dove il mare non custodisce solo miti e leggende ma nasconde scorie tossiche e radioattive”. Inizia così il viaggio del podcast intorno alle indagini sulle “Navi a perdere”, relative ad affondamenti sospetti spesso legati al traffico di rifiuti illeciti e al coinvolgimento della ‘ndrangheta, che videro un ruolo centrale per il capitano De Grazia. Data l’estrema complessità delle situazioni emerse, fu costituito un apposito pool investigativo che, oltre a De Grazia, includeva il maresciallo capo Domenico Scimone e due membri del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Reggio Calabria: il maresciallo Nicolò Moschitta e il carabiniere Rosario Francaviglia.

La morte durante la missione segreta e le incongruenze

Ma nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995 tutto rallenta, per poi fermarsi bruscamente. Il capitano era partito da Reggio Calabria insieme a Moschitta e Francaviglia, diretto al porto di La Spezia per eseguire delle deleghe dell’autorità giudiziaria. Un viaggio che doveva rimanere segreto data l’importanza delle indagini.
Secondo la ricostruzione, dopo aver cenato al ristorante “Da Mario” a Campagna, in provincia di Salerno, De Grazia accusò un malore fatale sul tratto autostradale, secondo la versione dei suoi compagni. Trasportato in ambulanza, arrivò all’ospedale civile di Nocera Inferiore alle 0:50, risultando già morto. Le cause della sua morte apparvero immediatamente sospette a molti, inclusi i pubblici ministeri che seguivano l’indagine, e continuano ad esserlo ancora oggi.
«La mole di fonti sul tema “navi a perdere” e su De Grazia – racconta Maria Vittoria Sparano – è davvero vasta. Per scelta mi sono basata esclusivamente, oltre che su alcune monografie specifiche, su documenti ufficiali accessibili online – mi riferisco ai resoconti e alle relazioni delle diverse Commissioni Parlamentari d’Inchiesta che hanno trattato l’argomento e ai documenti riversati nell’Archivio online della Camera dei Deputati – e sulle dichiarazioni delle persone da me intervistate. Non c’è stato un documento specifico di svolta, ma credo che la comprensione del quadro generale, sebbene, ripeto, fatto anche di diversi vuoti, sia data soprattutto dall’integrazione di parte dei documenti che per anni sono stati secretati: molti sono stati declassificati in anni relativamente recenti, ma non ancora tutti. E forse proprio quei documenti ancora oggi sotto segreto potrebbero aiutare a colmare i vuoti».

«C’è l’esigenza di verità e giustizia»

Una storia – dicevamo – che non deve essere dimenticata. La speranza è che prima o poi si possa arrivare alla verità e dare finalmente giustizia a una figura come quella del capitano Natale De Grazia.  
«Più che un messaggio, spero che rimanga una domanda, o più domande. Perché è da una domanda senza risposta che nasce, prima di tutto, l’esigenza di verità e giustizia. “A chi interessa” è parte di una domanda che compare nella lettera che i familiari di De Grazia scrissero alla Procura di Nocera Inferiore il 7 marzo del 1997 per chiedere la riapertura delle indagini sulla morte del Capitano, archiviate troppo rapidamente e forse con troppa leggerezza: l’ho scelta proprio per dare eco a quella domanda e alle tante domande di questa storia, perché chi ascolta oggi, nonostante il tempo trascorso, non dimentichi e faccia propri gli interrogativi che questa storia, assieme a tante altre storie del nostro Paese, impone alla società civile». (m.ripolo@corrierecal.it)

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