Una “bomba intelligente” per contrastare il tumore al seno più aggressivo
L’anticorpo riconosce una proteina specifica sulle cellule tumorali e una volta legato rilascia il farmaco citotossico

Una “bomba intelligente” contro il tumore al seno triplo negativo. Arriva dal San Antonio Breast Cancer Symposium, uno dei più importanti congressi internazionali dedicati alla ricerca sul carcinoma mammario, una novità che apre nuove prospettive terapeutiche per le pazienti più difficili da trattare. A presentare i risultati dello studio è stata Roberta Caputo, dirigente medico della Senologia dell’Istituto Pascale di Napoli, struttura diretta da Michelino De Laurentiis. La ricerca riguarda pazienti affette da carcinoma mammario triplo negativo, anche in presenza di metastasi cerebrali, e dimostra l’efficacia di una terapia mirata di nuova generazione. Il trattamento combina un anticorpo monoclonale con un potente farmaco chemioterapico, progettato per colpire selettivamente le cellule tumorali riducendo al minimo i danni a quelle sane. Un meccanismo d’azione paragonabile a una vera e propria “bomba intelligente”: l’anticorpo riconosce una proteina specifica presente sulla superficie delle cellule tumorali, si lega ad essa e, una volta penetrato all’interno, rilascia il farmaco citotossico che distrugge la cellula dall’interno.
Lo studio coordinato dall’Istituto dei tumori di Napoli
Questo approccio consente di rendere la chemioterapia più efficace e meno tossica, rappresentando un passo avanti significativo nella cura di una delle forme più aggressive di tumore al seno, per la quale le opzioni terapeutiche sono ancora limitate. Lo studio, coordinato dall’Istituto dei tumori di Napoli, rappresenta una delle più ampie casistiche real world a livello globale in questo specifico setting clinico. Alla ricerca hanno partecipato 17 centri italiani, tra cui l’AOU Federico II di Napoli e il Policlinico Gemelli di Roma. L’analisi ha incluso 67 pazienti con metastasi cerebrali trattate con sacituzumab govitecan. In 54 pazienti la malattia cerebrale era misurabile secondo i criteri neuro-radiologici RANO. In ciascun centro le immagini radiologiche sono state rivalutate da un neuroradiologo; al Pascale la revisione è stata curata dalla dottoressa Cinzia Granata. I risultati hanno evidenziato un’efficacia significativa del trattamento nel sottogruppo di 46 pazienti con metastasi cerebrali precedentemente sottoposte a radioterapia, nelle quali è stato osservato un intervallo libero da progressione encefalica fino a 12 mesi. Segnali di attività clinica sono emersi anche in un più piccolo sottogruppo di pazienti con metastasi cerebrali non radiotrattate e leptomeningosi, per le quali la sopravvivenza libera da progressione cerebrale ha raggiunto fino a cinque mesi. «Si tratta di risultati preliminari ma di grande rilevanza clinica – sottolinea Roberta Caputo – che aprono nuove prospettive terapeutiche in un ambito caratterizzato da bisogni clinici ancora insoddisfatti». I dati dovranno essere confermati in casistiche più ampie e in studi randomizzati, già in fase di progettazione.
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