‘Ndrangheta, da superlatitante in fuga al record di assoluzioni: il “romanzo giudiziario” di Pasquale Bonavota
Inserito nella lista dei più pericolosi dopo Matteo Messina Denaro e dopo oltre 4 anni in fuga «perché innocente e non latitante», per i giudici non è affatto il boss di Sant’Onofrio

LAMEZIA TERME Un attimo di silenzio, qualche secondo sospeso tra l’incredulità e la consapevolezza che poi s’è fatta certezza. È probabilmente la notizia più di rilievo che emerge dalla elaborata sentenza emessa dai giudici d’Appello per i 215 imputati nel processo “Rinascita-Scott”: l’assoluzione di Pasquale Bonavota. Una doccia gelata per la Distrettuale antimafia di Catanzaro che aveva invocato, invece, 28 anni di reclusione. Tanti quanti i giudici di primo grado gli avevano inflitto a novembre di due anni fa. All’epoca per l’ex super latitante considerato «interno» al locale di Sant’Onofrio con un ruolo di vertice si trattava di una sentenza arrivata solo dopo qualche mese dalla sua cattura avvenuta ad aprile a Genova, dopo quattro anni e mezzo di latitanza, riuscendo a sfuggire anche al maxi-blitz della Dda del 19 dicembre del 2019 e dopo averlo cercato ovunque, anche nello storico fortino dei Bonavota a Sant’Onofrio.

Quella di Pasquale Bonavota (assistito dagli avvocati Tiziana Barillaro, Angela Compagnone e Filippo Giunchedi) è una storia a tratti clamorosa, a cominciare dalla fuga all’indomani della condanna all’ergastolo emessa dal gup distrettuale di Catanzaro al termine del processo celebrato con rito abbreviato nato dall’operazione “Conquista”, dal quale poi è stato assolto. Anche in quel caso, collezionando finora ben 9 assoluzioni. Per molto tempo è stato considerato «l’ultimo boss della ‘ndrangheta calabrese in fuga», il presunto capo indiscusso dell’omonima famiglia criminale attiva a Sant’Onofrio, nel Vibonese, e con ramificazioni tra Piemonte, Liguria e Roma. A novembre del 2021 Pasquale Bonavota era stato inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità dal Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti istituito presso la Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Quando, per intenderci, in testa alla lista dei ‘top wanted’ c’era ancora lo storico boss trapanese ricercato, Matteo Messina Denaro. «Non ero latitante, ero innocente» diceva Bonavota in aula nelle sue spontanee dichiarazioni in fase di requisitoria, in un momento storico del processo. E, dopo due anni, i giudici lo hanno assolto.
Le accuse in Rinascita, fino all’assoluzione
Dalle carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro erano emersi quelli che l’accusa aveva connotato come tratti distintivi di Pasquale Bonavota, capace a moltiplicare gli affari della famiglia oltre i confini calabresi, tra Piemonte, Liguria e Roma territori che Pasquale Bonavota, grazie al sostegno dei vecchi sodali del padre, sarebbe stato in grado di conquistare. Addirittura, nella Capitale, come ha sempre sostenuto l’accusa, Pasquale Bonavota sarebbe riuscito a moltiplicare gli affari e il patrimonio dei Bonavota, grazie al controllo dello spaccio di stupefacenti e ai legami con soggetti criminali influenti e legati alle famiglie romane. Mentre, in Calabria, gli affari sarebbero andati avanti con le estorsioni agli imprenditori locali, gestite dai fratelli Domenico e Nicola, e soprattutto al business dei videogiochi, imposti in bar ed esercizi commerciali. Nel passato di Pasquale Bonavota, altre accuse, dalle quali è sempre stato assolto. Per la Dda, infatti, avrebbe diviso con la famiglia di Rocco Anello il controllo della costa da Filadelfia a Maierato mentre con Andrea Mantella si sarebbe alleato per “eliminare” fisicamente i nemici. Anche queste accuse cadute. Come le ultime crollate, stavolta, nell’Appello di Rinascita-Scott, lasciando per un attimo l’aula sospesa. (g.curcio@corrierecal.it)
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