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La sentenza

‘Ndrangheta, Rinascita-Scott: 30 anni per il boss Luigi Mancuso il “Supremo”

Confermato il ruolo di “elemento di vertice” dai giudici di Appello

Pubblicato il: 18/12/2025 – 19:10
di Gi.Cu.
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‘Ndrangheta, Rinascita-Scott: 30 anni per il boss Luigi Mancuso il “Supremo”

LAMEZIA TERME Era l’esito forse più atteso nel processo d’appello di “Rinascita-Scott”, capire le sorti di Luigi Mancuso il “Supremo”, figura di spicco e riferimento per le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese, giudicato separatamente in primo grado (giudicato in Petrolmafie) la cui posizione è stata invece riunita proprio in Appello. La condanna a 30 anni di carcere fissa l’ennesimo punto a favore della Dda che, da anni, sta ricostruendo la figura criminale delle Zio Luigi Mancuso non solo quale capo del locale di Limbadi, ma uno dei boss più importanti della ‘ndrangheta calabrese nell’ambito di «un reticolo al cui interno un punto di snodo fondamentale è rappresentato dall’asse Pesce-Piromalli-Mancuso», «posti dal collaboratore tutti sullo stesso livello di importanza criminale», scrivevano i pm.

L’indagine

La figura di Luigi Mancuso, all’esito della complessa attività investigativa svolta dal Reparto Anticrimine di Catanzaro e delle parallele indagini del servizio Centrale del R.O.S. di Roma e del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia, viene descritta come quella di un «soggetto capace di comporre le spaccature e le frizioni presenti all’interno della famiglia Mancuso», attraverso la condivisione, da parte di tutti i Mancuso e soprattutto del nipote Giuseppe Mancuso alias “‘Mbrogghia” di «un nuovo progetto criminale, che non facesse ricorso a metodi violenti e volto alla ricerca dell’assoggettamento “spontaneo” della popolazione e del consenso generalizzato». Nella memoria depositata, ad esempio, i pm della Dda avevano richiamato l’importanza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riascoltati nella fase dibattimentale del lungo processo in aula bunker. Perché «quelle dichiarazioni consentono di capire perché con la detenzione di Luigi Mancuso succedono determinate cose e perché quando esce dal carcere, proprio in virtù non del suo carisma e basta, ma del ruolo criminale che nessuno gli aveva mai disconosciuto, lo stesso riesce in maniera operativa e concreta a ricompattare tutta una serie di situazioni e a ristabilire l’ordine, che è uno degli obiettivi principali del segmento più recente della sua condotta associativa».

La “strategia della pacificazione”

Mancuso, una volta scarcerato, verrà sottoposto agli obblighi della sorveglianza speciale mentre il 26 giugno 2014 si renderà irreperibile. Come ricostruito in fase investigativa e durante il processo, il boss anche sfruttando il suo stato di irreperibilità e potendo contare su una vasta rete di fiancheggiatori, «ha messo a punto il suo piano di riorganizzazione del territorio», dando vita ad una nuova fase per l’associazione criminale del vibonese e per la famiglia Mancuso in generate, mettendo in atto la “strategia di pacificazione”. Un progetto la cui strada è stata spianata anche dalla cattura, avvenuta a marzo del 2013, di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso, considerato il «personaggio più sanguinario». Luigi Mancuso, dunque, «ha ristabilito un sostanziale equilibrio anche con le altre ‘ndrine e con gli altri locali attivi nella provincia di Vibo Valentia», scrivono i giudici nelle motivazioni, e grazie al suo indubbio carisma, alle sue qualità personali e alla sua propensione al dialogo e ad intessere relazioni, diventava non solo il capo promotore della cosca Mancuso di Limbadi, ma una sorta di “garante” della struttura criminale di ‘ndrangheta operante sul territorio di Vibo Valentia. (redazione@corrierecal.it)

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