Memoria corta e promesse riciclate. Il caso di San Giovanni in Fiore
Cambiano linguaggi e schieramenti, restano i problemi. Spopolamento, sanità debole e giovani lontani da una politica sempre più tattica

SAN GIOVANNI IN FIORE «Non potresti entrare due volte nel medesimo fiume». È il celebre adagio che nel Cratilo Platone attribuisce a Eraclito. Il dialogo, composto con buona probabilità nella prima metà del IV secolo avanti Cristo, riflette sul divenire e sulla mutevolezza del reale. Nella canzone Di passaggio, l’indimenticabile Franco Battiato evoca la stessa idea: il fluire continuo dell’esistenza, la trasformazione incessante di enti ed esseri.
Il cambiamento continuo e inarrestabile è un tema filosofico di notevole interesse in ogni tempo. Ed è anche un argomento politico ricorrente. Basti pensare alla transizione analogica del Movimento Cinque Stelle, a lungo contrario alle alleanze e ora, da Aosta a Palermo passando per Napoli e Catanzaro, disposto a patti con chicchessia in nome di un progressismo spesso rivolto al passato, cioè fondato sulla saggezza icastica di taluni padri politici, vedi Vincenzo De Luca, e più prosaicamente sui loro voti; da includere, incorporare, fondere in un progetto più elettorale e assai meno politico.
A destra, al centro e a sinistra, l’obiettivo di simili operazioni – neppure troppo nascosto – è vincere a prescindere dall’unità di valori e programmi, dalla coerenza, dal rinnovamento di uomini e concetti, che però campeggia nei discorsi di singoli leader e vari esponenti di partito. L’avversario, insomma, si batte con i consensi, poco importa il come produrli e riceverli. Ne basta uno in più, tipo i gol negli spareggi o i punti del taekwondo nei secondi finali. Ergo, bisogna coinvolgere e radunare quanti possono servire alla causa, che al netto di paternali e moralismi circolanti è una sola: l’affermazione elettorale per governare la cosa pubblica secondo i limiti di bilancio e le regole di matrice o imposizione europea.
La musica anticipa spesso fenomeni e tendenze generali, soprattutto del potere ufficiale. Il rapper Frankie hi-nrg mc consegnò ai posteri alcuni versi descrittivi della logica dominante della competizione, che informa pure – e forse soprattutto – la politica. Nel brano del ’97 Quelli che benpensano, leggiamo infatti «la posta in gioco è massima, l’imperativo è vincere», oppure «stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere, come lucertole s’arrampicano e se poi perdon la coda la ricomprano». Ve ne sono di più duri appresso. Per esempio, «mani che si stringono tra i banchi delle chiese alla domenica; mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano».
In pratica, la politica (e l’esistenza) è negli anni diventata perlopiù – e in crescendo – l’arte del trasformismo, di cambiare pelle alla svelta, argomenti, storia e linguaggio a convenienza. Tanto oggi, come ammoniva il filosofo Alfonso Maurizio Iacono nel saggio Tra individui e cose, la memoria difetta mentre si vive in un presente perpetuo, in cui conta ciò che serve e preme sul momento, sicché tutto il resto non va ritenuto, valutato e capito affatto.
Nessuno stupore, dunque, se i giovani si allontanano dalla politica; se non prendono sul serio i discorsi dei protagonisti di codeste fluttuazioni funzionali; se non si fidano di chi ragiona pendolando di questioni pubbliche; se preferiscono rimanere nella loro dimensione appartata di contestazione tacita; se mostrano di non voler comunicare con un mondo in cui non credono; se non si pronunciano su proposte politiche che sanno di estemporaneo e puzzano di strategia elettorale; se manifestano distacco e distanza dalla politica, ripudio delle relative piroette, capriole, invenzioni e sceneggiate.
Dal canto suo, la politica non prova a capire manco per finta le nuove generazioni, a coglierne il disagio profondo, la crisi identitaria innanzi all’antitesi, alla cesura tra consumismo sconfinato (quale imperativo) e svuotamento umano, economico e relazionale dello spazio urbano; declino che, nel grande, diffuso silenzio dei Consigli comunali e degli attori politici, penalizza soprattutto le aree interne della Calabria, dove i desideri di beni e denaro indotti dalla propaganda del capitalismo globale si scontrano con la realtà del luogo, fatta di povertà, partenze, vuoto sociale e mancanza di servizi.
Nel pomeriggio odierno, a San Giovanni in Fiore, cittadina anzitutto montana, il parlamentare europeo Pasquale Tridico e Mario Oliverio, ex presidente della Regione Calabria, discuteranno di «Aree interne tra diritti e opportunità». L’incontro è promosso da Asprom (Associazione per lo sviluppo e la promozione del Mezzogiorno), di cui Tridico è presidente, e vedrà la partecipazione della professoressa Unical Rosanna Nisticò, che peraltro insegna nel master «Sviluppo aree montane», e di Giovambattista Nicoletti, sindacalista Cgil e da ultimo candidato consigliere regionale nella lista «Tridico Presidente». Al tavolo dei relatori ci sarà anche Mimmo Talarico, direttore di Asprom, ex consigliere regionale della Calabria con l’Italia dei Valori, poi tra gli ispiratori del gruppo politico De Magistris Presidente e ora assistente locale del parlamentare europeo Tridico. Come si può convenire, appare dunque un’iniziativa piuttosto a metà strada fra il dibattito pubblico e la proiezione elettorale. A San Giovanni in Fiore si voterà nella primavera del 2026 e Nicoletti potrebbe essere il candidato sindaco di una coalizione sospinta da Oliverio; sia per i 1504 voti che il sindacalista ha incassato sul posto alle ultime Regionali, sia per certe sue uscite pubbliche – da un anno buono a questa parte – su legalità, sanità e altri problemi attuali.
Vi è comunque qualche divergenza, fisiologica in democrazia: Tridico è vicino alle posizioni di Gratteri sulla giustizia, Oliverio ne è un feroce oppositore e Talarico era parso sino a qualche settimana addietro contrario a una ritrovata leadership dell’ex presidente della Regione. A parte ciò, resta da verificare che cosa diranno i relatori di questo appuntamento. Bisognerà cioè vedere se, dal lato squisitamente politico, al netto quindi della relazione di Nisticò, esso si sostanzierà in richiami generici o suggestivi allo stato di deprivazione delle aree interne, quindi pure di San Giovanni in Fiore; se si fonderà su un nuovo attacco – legittimo – di Oliverio alla coppia politica di centrodestra Rosaria Succurro-Marco Ambrogio, pare pure quest’ultimo tra i possibili candidati a sindaco del Comune silano, oppure se lo conterrà en passant; se sul fronte sanitario sarà un’occasione per ribadire ancora le risapute e remote condizioni dei servizi, o anche per proporre progetti di diversificazione e specializzazione dell’offerta assistenziale pubblica; se si ascolteranno discorsi critici anche verso l’attuale governo dell’Unione europea, che, non eletto dal popolo, non guarda a fondo alle specificità e ragioni dell’interno del Sud e invece immagina misure standardizzate o standardizzabili; se ci sarà spazio, modo, voglia e tempo per parlare di modifica dei criteri di ripartizione del Fondo sanitario, rilanciata sia da Nicola Irto che da Giuseppe Scopelliti, come di fiscalità di vantaggio a beneficio del commercio e delle attività produttive in senso lato.
Staremo a vedere, poi, se si paleserà il coraggio, restando al tema delle aree interne, e meglio sarebbe dire di quelle montane, di un’analisi delle cause principali del loro spopolamento a partire dalle politiche monetarie avviate con il Trattato di Maastricht. Oppure se, ancora una volta, fondi e dettami europei verranno presentati come la panacea di tutti i mali, nonostante i loro limiti oggettivi – procedurali e sostanziali – e soggettivi in relazione ai particolari contesti, in cui – come osservava un noto imprenditore – l’eventuale progetto di sviluppo spesso non è accompagnato, almeno in Calabria, da una preparazione del soggetto individuale e collettivo rispetto alla fase attuativa. In breve, sarà interessante verificare se vi sarà la determinazione di riconoscere, anche per rispetto dei più giovani, certi errori del passato. Per esempio, l’utilizzo sistematico di misure di sostegno al reddito in realtà sociali come San Giovanni in Fiore, mai accompagnato da una pianificazione dello sviluppo territoriale coerente con le risorse locali di natura, laghi compresi, e cultura, inclusa la portata internazionale del pensiero profetico di Gioacchino da Fiore, non ancora valorizzata in un corso universitario. Speriamo, per inciso, che sul punto si attivi il nuovo rettore dell’Unical, Gianluigi Greco.
San Giovanni in Fiore entrò nell’epoca post-Maastricht con 18.033 abitanti nel 1991 e arrivò a 16.106 nel 2021. Nel medesimo arco temporale subì una perdita di 1.927 residenti (-10,7 per cento). Tra il 2001 e il 2011 il calo fu di 654 unità (-3,5 per cento), mentre tra il 2011 e il 2021 divenne molto più marcato: -1.806 abitanti (-10,1 per cento).
Il Trattato sull’Unione europea ha obbligato a stringere i cordoni della borsa e il Fiscal compact – peraltro illegittimo, a parere di un ex ministro dell’Economia, il compianto giurista Giuseppe Guarino – ha condotto a un’austerità insostenibile: niente soldi per i diritti fondamentali e sempre meno risorse per il sistema pubblico e i servizi di base nei territori interni e periferici. Il Reddito minimo di inserimento (1998-2003) e il Reddito di cittadinanza hanno attenuato solo parzialmente il calo della popolazione, senza incidere sulle cause strutturali dello spopolamento: denatalità, emigrazione giovanile, debolezza economica e assenza di politiche di sviluppo adeguate.
La verità è che in politica, oggi, il fiume muta di continuo ma gli attori fingono di trovarvi sempre la stessa acqua. Cambiano alleanze, linguaggi, posture e identità, sovente senza un pensiero che accompagni il mutamento. E, mentre tutto scorre, si registra il più delle volte un immobilismo in quanto a capacità di visione, al coraggio delle scelte, all’impegno verso le comunità più deboli. Non di rado, purtroppo, residua poi un movimento senza direzione, un passaggio effimero dentro un tempo che non lascia traccia. (redazione@corrierecal.it)
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