Oculistica «privatizzata» a Catanzaro, il sequestro conservativo e il sistema «parallelo»
L’attività investigativa prefigura l’esistenza di due filoni: uno legato all’attività professionale e l’altro alla gestione delle prestazioni sanitarie

CATANZARO La notizia del sequestro conservativo di beni per oltre 9 milioni di euro eseguito dai finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Catanzaro nei confronti di 11 persone, ha riacceso i riflettori sull’indagine che lo scorso primo luglio scorso avevano coinvolto – tra gli altri – il primario del reparto dell’Unità operativa complessa di Oculistica dell’Azienda ospedaliero universitaria “Renato Dulbecco” di Catanzaro, Vincenzo Scorcia, e la segretaria di uno studio privato, Maria Battaglia. Complessivamente la Procura della Repubblica ha indagato 12 persone. Le indagini dei finanzieri di Catanzaro nel reparto di oculistica dell’Azienda Dulbecco si sono concentrate sulla presunta gestione “privatistica” delle liste di attesa. Sulla base di questa ipotesi d’accusa, l’attività investigativa avviata avrebbe prefigurato un quadro di «condotte perpetrate da personale medico e universitario», mettendo in luce l’esistenza di due principali filoni.
Due diversi filoni di indagine
Una parte del lavoro svolto dalla procura e riportato nel procedimento contabile redatto dalla Corte dei Conti è riferito «all’indebito esercizio, in maniera stabile, dell’attività libero-professionale extra-istituzionale in violazione del contratto con l’Amministrazione di appartenenza» e rispetto al «rapporto di esclusività con il nosocomio» da parte di docenti e ricercatori. Il secondo filone, invece, riguarda la gestione delle procedure di accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, culminata in una «privatizzazione del Reparto di Oculistica». Da quanto emerso, sarebbe consolidato il presunto sistema attraverso il quale «i medici coinvolti erano soliti effettuare interventi chirurgici su paziente visitati a pagamento durante lo svolgimento dell’attività extra-istituzionale privata, garantendo loro un trattamento privilegiato». Gli stessi pazienti venivano operati «in assenza di prenotazione al Cup», aggirando le liste d’attesa ufficiali.
Il prezzo delle visite
Secondo l’accusa esisterebbe un vero e proprio tariffario interno, che varia a seconda della volontà manifesta dal paziente di sottoporsi o meno all’intervento chirurgico in ospedale. In alcuni casi, per chi indaga, la decisione finale del paziente «veniva influenzata da uno stato psicologico fragile ed esposto, inciso dalla necessità comunicata dal primario di sottoporsi con urgenza all’operazione». Gli atti hanno documentato 43 casi specifici di pazienti gestiti con il presunto sistema. Oltre al professore Vincenzo Scorcia, direttore del Reparto di Oculistica all’A.O.U. “Dulbecco” di Catanzaro, altri sei medici avrebbero effettuato questo tipo di visite senza rispettare le liste d’attesa.
Il «sistema parallelo»
Quanto raccolto durante l’attività investigativa fa presupporre alla procura l’esistenza di un sistema «parallelo». I pazienti prima si sottoponevano a visita specialistica a pagamento e poi sarebbero stati indirizzati ad un intervento chirurgico urgente. Al termine della visita, la segretaria richiedeva il pagamento di una somma «spesso 500 euro», «comprensiva non solo della visita ma anche della garanzia di un rapido inserimento nella lista per l’intervento». Un paziente – come riportato nel procedimento contabile – avrebbe sottolineato «la differenza tra il compenso pari a 200 euro e la somma corrisposta dell’importo di 400 euro». La figlia di un altro paziente riferisce di «una soluzione unica da 500 euro».
La reazione dell’Amministrazione ospedaliera
I controlli e l’acquisizione di documenti da parte degli agenti della Guardia di Finanza, hanno spinto il commissario straordinario dell’Aou Renato Dulbecco ad adottare una delibera in merito al regolamento per la gestione delle liste d’attesa dei ricoveri programmati. «La tempistica di adozione di tale regolamento non appare casuale», si legge nel documento di giustizia contabile, ma sarebbe «diretta conseguenza dell’attività investigativa».
L’utilizzo di risorse pubbliche
La gestione «privatistica», dunque, si configurerebbe come una «apprensione di risorse e servizi pubblici». Più in dettaglio, la Corte dei Conti si sofferma sulla presunta «appropriazione di beni e servizi dell’Ao», di «costosi dispositivi medici, come tessuti corneali, trapianti e lenti», risorse strutturali come «l’utilizzo di sale operatorie, ambulatori e attrezzature diagnostiche» e infine l’impiego di risorse umane. I destinatari del provvedimento sono dunque invitati a fornire deduzioni alla Corte dei Conti, potranno presentare memorie difensive e documenti per chiarire le rispettive posizioni e rispondere ai fatti emersi. (f.benincasa@corrierecal.it)
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