La voglia di tornare del chirurgo-scrittore che sogna di “curare” la Calabria
Il chirurgo Massimiliano De Luca racconta una carriera costruita lontano da casa. Formazione, esperienze e una visione concreta della sanità

COSENZA C’è una Calabria che cura lontano da casa e una Puglia che accoglie competenze, passioni e storie. Come quella raccontata – in una intervista al Corriere della Calabria – dal dottore Giuseppe Massimiliano De Luca, chirurgo generale e d’urgenza in servizio a Bari. Un medico animato dalla passione per la sua terra, per i libri e la scrittura. Nei suoi testi la scienza dialoga con la letteratura, dando forma a un percorso umano e professionale in cui la cura passa anche attraverso le storie, vissute e raccontate.
Partiamo da una passione, quella per i libri e per la scrittura. Quando nasce?
«Nasce quando avevo otto anni, ho scritto la prima poesia dedicandola mia Mamma. Riletta e rivista in un periodo successivo ha rappresentato una delle poesie più belle che io abbia scritto. A 24 anni, invece, ho pubblicato il mio primo libro e sono partito proprio da questa poesia».
E’ corretto sostenere che attraverso la letteratura riesce a raccontare meglio un’altra dimensione della chirurgia? Quella psicologica, etica e sociale?
«Ho scritto tre libri prettamente medici, riguardano la chirurgia. Sicuramente la scrittura, la letteratura, meritano un animo più sensibile, quello che mi è servito nella vita a comunicare con i pazienti, con i colleghi, nel dare notizia di diagnosi ed esami. Mi ha dato una marcia in più nel riuscire a convincere alcuni pazienti ad aprirsi, a sfogarsi».
Recentemente è stato ospite di un convegno a Casali del Manco, dedicato alla sanità del futuro. E’ considerato uno dei tanti cervelli calabresi impegnati fuori regione. Le piacerebbe tornare?
«Mi considero un cittadino calabro-pugliese, a 18 anni sono andato via, ho studiato a Roma e da lì sono arrivato in Puglia, dove ho raccolto soddisfazioni e conosciuto un professore, Mario Testini, che è stato un vero maestro. Il suo sostegno mi ha permesso di conseguire risultati importanti. All’interno di questo percorso, di questi 20 anni vissuti in Puglia, ho avuto la possibilità di visitare e vivere un anno a Londra, un anno a Madrid, un anno e mezzo a Modena, poi sempre in giro per l’Italia per partecipare ai congressi. Torno alla sua domanda. Mi piacerebbe ritornare, stasera mentre le scrivo sarei dovuto ritornare, ma una gastroenterite ha costretto a rinviare il viaggio e mi dispiace tanto non poter salutare i miei cari. Tornare a lavorare in Calabria mi piacerebbe molto, sicuramente sarebbe prestigioso, ma devo fare i conti con lo status accademico, con la vita della mia famiglia. Spesso l’amore per la propria terra non collima necessariamente con il luogo migliore nel quale vivere e lavorare».
Governare la sanità alle nostre latitudini è assai complesso, il rientro dei “cervelli” potrebbe migliorare l’organizzazione del sistema?
«Favorire il ritorno di professionisti da fuori regione può essere un bene, ma va detto che non sempre chi opera lontano dalla Calabria sia necessariamente da considerare un “cervello”. Nel nostro mondo, soprattutto in quello accademico, pubblicare molti articoli non rende un medico migliore di un altro. In Calabria, in questo momento, è necessaria una migliore organizzazione. Partirei da cose semplici e sarei meno radicale, aprirei le porte a professionisti competenti e poi sosterrei un impegno collettivo».
Faccia qualche esempio
«Se dovessi ritornare, partirei dalle scuole di specializzazione come: chirurgia generale, anestesia e rianimazione, medicina interna, medicina d’emergenza. Immagino una rotazione degli specializzandi, rafforzando i turni insieme alle guardie mediche o lavorando per colmare le lacune dei presidi territoriali rimasti scoperti. Questo servirebbe anche a mitigare l’affollamento dei pronto soccorso. E poi le liste d’attesa devo essere snelle, altrimenti i pazienti sono costretti a rivolgersi al Nord o ad altri ospedali nelle regioni vicine».
Il classico esempio di emigrazione sanitaria
«Esatto. A noi capita spesso di vedere pazienti che dalla Calabria raggiungono la Puglia per subire una operazione di ernia o per la tiroide, lo trovo davvero assurdo. Esistono delle patologie che richiedono un approccio diverso e specialistico, ma non si possono percorrere centinaia di chilometri per operazioni realizzabili in qualsiasi centro calabrese. La politica deve interagire con il territorio e proprio per questo è necessario ripristinare il concetto geografico. Faccio un’ipotesi: se decidi di chiudere l’ospedale di Soveria Mannelli, gli effetti non saranno i medesimi se la stessa cosa accadesse a Grottaglie, perché tra Bari, Brindisi e Taranto c’è una pianura e quindi 30 minuti di strada che dividono l’intero territorio».
L’ospedale di Cosenza sta provando a invertire la rotta, puntando sul progetto sinergico con l’UniCal e sull’innovazione tecnologica. Lei è uno dei massimi esperti nel campo della chirurgia robotica. Quanto è importante l’apporto della “precision medicine”?
«Mi occupo essenzialmente di chirurgia anche mini-invasiva e la peculiarità maggiore di cui mi occupo è il damage control surgery in pazienti con gravi sepsi addominali o post-traumatici con l’utilizzo di device a pressione negativa. In collaborazione con l’Unical e con l’unità operativa diretta dal professor Bruno Nardo e con il professor Francesco Pata, il Politecnico di Bari e la nostra chirurgia universitaria del Policlinico di Bari, hanno da poco chiuso un lavoro dedicato all’impatto dell’ecosostenibilità di questi device a pressione negativa che, non solo rappresentano un salvavita per pazienti altamente compromessi e con sepsi addominali importanti, ma anche device ecosostenibili. Sicuramente l’utilizzo di piattaforme ad altissima tecnologia può migliorare la qualità della medicina però prima di arrivare a questo bisogna irrobustire le basi per garantire un servizio sanitario di alto livello. Solo dopo si può parlare di intelligenza artificiale, robotica e di tutti gli algoritmi che possono migliorare le qualità del medico, non solo del chirurgo».
Ha le idee chiarissime, non resta che tornare
«Mi farebbe piacere tornare in Calabria, ma non spetta a me deciderlo. Mi piacerebbe mettere a disposizione tutto ciò che ho appreso in questi anni vissuti fuori, parlo di organizzazione, pianificazione. Mi manca dopo aver eseguito un intervento complesso tornare a casa con mia nonna che mi aspetta e prepara quella straordinaria scirubetta che adoravo da bambino. Questa è l’immagine che mi riporta in Calabria». (f.benincasa@corrierecal.it)
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