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Oltre l’assistenza

Il Natale delle mense solidali a Reggio Calabria

Storie di fragilità e accoglienza che raccontano il volto più vero della città

Pubblicato il: 28/12/2025 – 15:30
di Paola Suraci
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Il Natale delle mense solidali a Reggio Calabria

A Reggio Calabria la povertà non è un numero astratto. Ha il volto stanco di chi arriva in silenzio, lo sguardo abbassato di chi chiede scusa anche quando non dovrebbe, le mani che stringono un vassoio caldo come fosse qualcosa di prezioso. È qui, nelle mense dei poveri, che ogni giorno si misura la distanza tra ciò che manca e ciò che resiste: la dignità. Le mense Caritas, insieme alle parrocchie e alle associazioni del territorio, non sono semplici luoghi di distribuzione di pasti. Sono presìdi umani, spazi in cui la solitudine trova una sedia e la fame, almeno per qualche ora, trova risposta. A bussare sono anziani con pensioni insufficienti, famiglie schiacciate dal caro vita, lavoratori poveri, migranti, persone che fino a poco tempo fa non avrebbero mai immaginato di trovarsi lì.

Il Natale: quando nessuno dovrebbe restare solo

Durante le festività natalizie, questo impegno si fa ancora più intenso. Perché il Natale, per chi vive ai margini, può essere il tempo più difficile: quando tutto parla di famiglia, luce e abbondanza, l’assenza pesa di più. A Reggio Calabria, però, la porta delle mense resta aperta. La vigilia, il giorno di Natale, fino all’Epifania, volontari e operatori continuano a preparare tavoli, servire piatti caldi, scambiare sorrisi. Non è solo un pranzo: è un modo per dire “tu conti”. Per molti è l’unico luogo in cui qualcuno chiama per nome, chiede come va, ascolta davvero. C’è chi arriva solo per mangiare, e chi invece resta qualche minuto in più, perché quel posto diventa rifugio. In quei momenti si capisce che la fame più grande non è solo quella di pane, ma di relazione, di presenza, di umanità.

Il rapporto Caritas 2025: storie prima dei numeri

Il Report Caritas 2025 sulla povertà ci invita a guardare oltre le statistiche. Non si limita a contare i poveri: ne racconta le vite spezzate, le fragilità accumulate, ma anche le speranze che resistono. In Calabria, e nel Mezzogiorno in generale, la povertà è spesso cronica, radicata, difficile da spezzare. Non è più solo emergenza, ma condizione strutturale. Crescono le persone che lavorano ma non riescono comunque a vivere dignitosamente. Aumentano gli anziani soli, le famiglie che non arrivano a fine mese, chi rinuncia a curarsi o a riscaldare casa. Il report è chiaro: senza politiche sociali coraggiose e una visione a lungo termine, il rischio è che l’assistenza diventi l’unico argine possibile. Eppure, Caritas continua a ricordarci che l’aiuto non può fermarsi al bisogno immediato, ma deve aprire strade, ricostruire legami, restituire fiducia.

“Il mattino viene, ma è ancora notte”

Le parole di Don Marco Pagniello, poste all’inizio del report, colpiscono come una verità nuda:
“Il mattino viene, ma è ancora notte.” È la fotografia del nostro tempo. C’è una luce che si intravede — fatta di volontariato, solidarietà, comunità che non si arrendono — ma il buio della disuguaglianza, dell’indifferenza e delle fragilità sociali è ancora profondo. Le mense di Reggio Calabria sono proprio questo: piccole luci nella notte. Non risolvono tutto, ma tengono accesa la speranza. Ricordano che nessuna persona è invisibile e che la povertà non è una colpa.

San Giorgio Extra: una tavola che dura da ventisei anni

A Reggio Calabria il bisogno cresce in modo silenzioso, quasi sommerso. Sempre più persone bussano per chiedere un aiuto concreto, soprattutto per il cibo, segno di una fragilità che non riguarda più solo chi è ai margini, ma attraversa intere famiglie. È una povertà che non fa rumore, ma che pesa ogni giorno un po’ di più. Eppure, proprio dentro questo scenario difficile, accade qualcosa che non compare nei grafici. Accade nei cortili delle parrocchie, nelle cucine improvvisate, nei gesti ripetuti con costanza. Qui la solidarietà non è straordinaria perché eccezionale, ma perché quotidiana. A San Giorgio Extra, nella parrocchia guidata da don Michele D’Agostino, questo stile è diventato una storia lunga ventisei anni. Un tempo che ha visto cambiare volti, bisogni, stagioni, ma non l’essenza del gesto: apparecchiare una tavola per chi non ha dove andare. Ogni Natale quella tavola si allunga. Non per tradizione, ma per necessità. Decine di volontari — alcuni esperti, altri arrivati quasi per caso — si muovono come un piccolo popolo discreto: chi cucina, chi sistema le sedie, chi accoglie, chi semplicemente ascolta. Don Michele lo ripete spesso: “La Provvidenza arriva sempre”. Arriva sotto forma di un volontario in più, di una spesa donata all’ultimo momento, di qualcuno che decide di restare qualche ora invece di tornare a casa. È una fiducia concreta, costruita nel tempo. «Quest’anno la risposta dei volontari è stata davvero straordinaria», racconta don Michele D’Agostino. «Ogni Natale viviamo sempre un po’ con il fiato sospeso: non sappiamo mai se avremo abbastanza mani per preparare e servire i pasti, perché proprio nei giorni di festa è più difficile garantire la presenza di tutti. Invece, ancora una volta, siamo stati sorpresi. Sono arrivati in tanti, spontaneamente, con il desiderio di mettersi a servizio. È un segno bello, che ci incoraggia e ci ricorda che la solidarietà, quando è autentica, trova sempre il modo di farsi strada». «Prima della pandemia il pranzo di Natale si svolgeva direttamente in chiesa», racconta don Michele. «Poi il Covid ci ha costretti a cambiare tutto: per un periodo abbiamo potuto offrire solo pasti da asporto. Quando finalmente siamo tornati in presenza, ci siamo resi conto che la realtà intorno a noi era cambiata».
Negli anni successivi, anche a causa dei flussi migratori legati agli sbarchi e dei nuovi equilibri sociali della città, i numeri non erano più quelli di un tempo. Così la parrocchia ha fatto una scelta diversa: «Abbiamo deciso di allestire la mensa nel salone parrocchiale. Forse è meno scenografico rispetto alla chiesa, ma è uno spazio più raccolto, più umano, più “familiare”».
La maggior parte degli ospiti sono persone che vivono in strada, volti conosciuti, incontrati ogni domenica alla mensa parrocchiale. Ma negli ultimi tempi si affacciano sempre più spesso famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, segno di una povertà che cambia volto e si insinua anche dove prima non arrivava. «Questo 25 dicembre ci hanno colpito molto alcune storie», continua don Michele. «Una coppia di anziani, persone dignitose, appartenenti a una fascia sociale bassa, che si sono avvicinate a noi non solo per il pasto, ma per la solitudine. E poi il pianto di una donna con poche risorse economiche, che ci ha confidato di sentirsi completamente sola: i figli, a Natale, erano ospiti da amici, e lei è rimasta senza nessuno». Quest’anno, racconta ancora, è stato anche un Natale senza bambini: «Alla mensa c’erano solo adulti, una settantina. Qualche mamma è venuta da sola, ha ritirato il pasto e lo ha portato a casa per i figli. Anche questo dice molto della fragilità che stiamo incontrando». Un Natale diverso, forse più silenzioso. Ma proprio per questo capace di raccontare, senza retorica, le nuove forme della povertà e della solitudine che attraversano la città. Accanto a San Giorgio Martire, numerose parrocchie e associazioni organizzano pranzi e cene durante tutto il periodo natalizio, fino all’Epifania. Un calendario diffuso che attraversa Reggio Calabria e le sue periferie, unito da un’unica scelta: non lasciare nessuno senza una tavola. C’è chi contribuisce con una teglia, chi con qualche ora di servizio, chi con un’offerta. E poi c’è ciò che non si vede, come ricorda don Michele: la preghiera, il pensiero, l’attenzione. «È questo che chiediamo davvero. E la risposta della comunità arriva sempre».

Oltre il piatto caldo, la dignità

In fondo, ciò che accade ogni giorno nelle mense non è solo assistenza. È una forma di resistenza civile. È il tentativo di dire che una comunità esiste davvero solo se si prende cura dei suoi membri più fragili.
Finché il mattino non sarà pieno giorno, queste mani continueranno a servire, ad ascoltare, ad accogliere. Perché anche nella notte più lunga, qualcuno deve restare sveglio a custodire la speranza. Dare da mangiare, a Natale, non è solo un atto di solidarietà. È un gesto politico nel senso più umano del termine: decidere chi conta. E in quelle tavole condivise, Reggio Calabria racconta il suo Natale più vero. (redazione@corrierecal.it)

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