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Clan in Liguria, ecco gli insospettabili di "zio Peppe"

REGGIO CALABRIA Si svolgeranno in giornata gli interrogatori di garanzia dei quindici arrestati nel corso dell`operazione “La svolta” che, meno di 48 ore fa, ha smascherato la sofisticata ed intricat…

Pubblicato il: 05/12/2012 – 10:27
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Clan in Liguria, ecco gli insospettabili di "zio Peppe"

REGGIO CALABRIA Si svolgeranno in giornata gli interrogatori di garanzia dei quindici arrestati nel corso dell`operazione “La svolta” che, meno di 48 ore fa, ha smascherato la sofisticata ed intricatissima rete che il boss Giuseppe Marcianò era riuscito a tessere nel Ponente ligure, non solo con il supporto dei familiari fra cui il figlio e il nipote – entrambi di nome Vincenzo – ma soprattutto di una serie di insospettabili – poliziotti, finanzieri, politici, direttori di banca – tutti pronti a levarsi il cappello di fronte al capo.
Anche il Ponente ligure, anche Ventimiglia, come tanti piccoli e grandi centri in Calabria sono zone sottoposte al potere mafioso «dove – sottolinea il gip nell`ordinanza di custodia cautelare – finisce
per maturare un`aberrante fiducia in quella sorta di Stato parallelo costituito dall`associazione mafiosa, che non esercita solo intimidazione ma sa anche blandire con· prebende, favori e privilegi in virtù dei quali, lentamente ma inesorabilmente, il cittadino inizia a dimenticare il fatto di vivere sotto tutela e, quando non ne viene schiacciato perché le si ribella, quasi diventa grato all`organizzazione mafiosa che tante volte si mostra; purtroppo – prosegue il giudice – a differenza dello Stato, in grado di recuperare una vettura rubata, di comporre un dissidio, di riparare a un tono subito, di punire uno sgarro. Tutto ciò pagandolo, nondimeno, con la rinuncia alla libertà di coscienza e con l`implicito avallo così fornito a una struttura fondata sul sopruso, sull`intimidazione, sulla prepotenza».

Toghe sporche, divise marce
Una struttura di cui capo indiscusso era Giuseppe Marcianò, ultraottuagenario boss in grado però di avere a libro paga tutti. Persino un «magistrato di Genova» cui l`anziano capobastone avrebbe versato 10mila euro per aggiustare un processo. Un togato non ancora identificato, con cui – si affretta a sottolineare il gip nello striminzito paragrafo che alla questione è dedicato – «Marcianò non avrebbe «speso» la sua qualità: di capolocale “locale” ma si sarebbe presentato come un qualsiasi «cliente» dell`ignoto giudice genovese asseritamente pronto – ma non sono emersi dettagli più pregnanti al riguardo – a vendere i propri servigi all`acquirente di turno».
Eppure, è sempre nella medesima ordinanza che si dà conto che Marcianò è uno che sa quali meccanismi deve oliare, quali sono i personaggi sensibili alle lusinghe di grandi e piccoli criminali. Come l`ex presidente del Tribunale di Imperia, Gianfranco Boccalatte, arrestato il 19 maggio insieme al suo autista Giuseppe Fasolo in esecuzione di un`ordinanza di custodia cautelare del gip di Torino, e  già condannato a tre anni e otto mesi di reclusione per millantato credito e corruzione in concorso con lo stesso Fasolo. È proprio all`autista del giudice che Marcianò consiglia a Domenico Carlino – luogotenente e potenziale erede del boss oggi defunto – di rivolgersi perché faccia da tramite con «Boccalatte al fine di ottenere da quest`ultimo una cessazione anticipata della sorveglianza speciale in allora in atto a suo carico».
E se non sono le toghe a dare una mano a “zio Peppino”, ci sono le divise – tante, diverse – che a vario titolo si “mettono a disposizione” del boss. Come Omar Allavena,  sovrintendente della Polizia locale di Vallecrosia arrestato ieri nel corso della maxi operazione che – sottolinea il gip – «frequenta assiduamente i Marcianò  nei confronti dei quali si mostra quanto mai servizievole e disponibile». Così disponibile da divenire socio occulto della “Marvon”, una delle aziende del clan, cui nel tempo ha procurato rilevanti informazioni riservate anche tramite il figlio Jasono, impiegato presso l`Ufficio tecnico del Comune di Ventimiglia.
Ma Allavena è in buona compagnia. C`è l`ispettore Salvatore Palermo, in forza alla Polizia di Frontiera di Ventimiglia che – stando a quanto più volte dichiarato da Vincenzo Marcianò, il nipote dello “zio Peppino” – «aveva una devozione totale nei confronti di suo padre, il defunto Marcianò Francesco, già “capo-locale” di Ventimiglia prima di Giuseppe. «Guarda, per mio padre si buttava nel fuoco – dice Vincenzo allo zio, Giuseppe Marcianò per sottolineare poi a sostegno della sua tesi si comporta non bene … benissimo, sempre come si deve nei nostri confronti .. anzi te ne dico di più .. quando avevano che era nella frontiera .. a quei tempi che c`era la frontiera .. quando Natalino passavano con il furgone .. avevano a uno che lavorava con loro che loro non sapevano ma faceva roba.. e lui … lo ha chiamato a papà e gli ha detto ditegli a Natalino cosl così  così». E ancora, è proprio un preoccupatissimo Palermo a informare Vincenzo Marcianò della presenza di una telecamera degli inquirenti piazzata davanti al ristorante – ufficio di famiglia Le Volte, «tanto da dire a Marcianò Vincenzo che non era opportuno che si baciassero- com`è d`uso, notoriamente, tra uomini d`onore (se si fosse trattato di un innocente saluto di stampo meridionale, ogni cautela risulterebbe fuori luogo)- in quanto ciò sarebbe accaduto sotto l`occhio indiscreto di una videocamera nascosta dagli investigatori».
Oltre che sull`ispettore Palermo, il clan dei Marcianò poteva contare anche sulla disponibilità di Luigi Nilo, -in servizio alla Compagnia della guardia di finanza di Ventimiglia, «stavolta, però, non per una deprecabile scelta del campo avverso, da parte di un rappresentante delle forze dell`ordine – sottolinea il gip – bensì in forza di una sorta di affectio familiaris, atteso che Nilo è il genero di Marcianò Vincenzo», cui si preoccupa di fornire informazioni sulle indagini che potrebbero riguardare il clan». Ma, paradossalmente, sarebbe stato proprio Nilo a rivolgersi al potente parente acquisito per “sistemare” il procedimento che lo vede implicato e potrebbe costargli un anno e sei mesi di sospensione.
Del resto, si legge nelle carte, lo “zio Peppe” ha tanti “amici” fra i baschi verdi . Come Donato Giannotte, che avrebbe chiesto al boss un intervento per appoggiare la domanda di trasferimento del figlio. Don Marcianò avrebbe speso il nome del generale Daniele Caprino, vicecomandante delle Fiamme Gialle: «C’è quello là, il generale Caprino, deve venire per vendere dei terreni ad Olivetta, di proprietà della moglie…». Ma, all`occorrenza, il boss saprebbe anche come fare per avere sponde molto più pesanti: «Devo andare a Sanremo al casinò a trovare un altro perchè ogni tanto viene un ispettore del controspionaggio di Roma, quelli dei servizi segreti…».

Le elezioni di zio Peppe
È un uomo lungimirante Giuseppe Marcianò. Sa che per macinare appalti e fare affari è necessario avere sponde politiche. Che non fatica a trovare. E non si tratta solo degli indagati Gaetano Scullino (centrodestra), ex primo cittadino del Comune al confine con la Francia e Marco Prestileo, direttore generale del Comune e ad della Civitas, «scatola vuota» che macinava appalti che poi si accaparrava la Marvon, ditta dei Marcianò, cui per la prima volta nella storia ligure, viene contestato il concorso esterno in associazione mafiosa.
Stando alle conversazioni intercettate e riportate nell`ordinanza di custodia cautelare, Marcianò alle elezioni preferiva andare sul sicuro. E appoggiare due concorrenti: a Vallecrosia, pur dando il proprio appoggio al futuro sindaco Armando Biasi, nelle cui liste inserisce anche personaggi a lui graditi, non dimentica di promettere voti e appoggio allo sfidante Roberto Politi. Ma non è stata solo l`amministrazione di piccoli Comuni ad entrare nell`orbita di interessi del clan Marcianò. Anche alle regionali 2010, la cosca porta avanti i propri protetti: Fortunata Moio, figlia di Vincenzo, ex vicesindaco di Ventimiglia figlio di un ergastolano, e Alessio Saso (Pdl), consigliere regionale già indagato per voto di scambio, che arriva a far mettere una buona parola in suo favore dal boss genovese Mimmo Gangemi.
Ma anche sul Parlamento il clan voleva lanciare la pro pria opa, appoggiando esponenti di primo piano del Pdl locale come il deputato Eugenio Minasso (Pdl): «Lo aiutammo, eh eh… – dice Vincenzo Marcianò, figlio di Peppino – Lo abbiamo portato lassù da Antonio Palamara (altro pezzo da Novanta della ‘ndrangheta, ndr), parlarono preoccupati, gli disse che una sessantina di voti nella nostra famiglia li avrete…».
Ma i politici sono una razza ingrata, sembra lasciar intendere il vecchio boss in una conversazione intercettata, quando quasi con rammarico spiega al nipote Vincenzo che in seguito alle vicende giudiziarie della provincia che hanno travolto la provincia di Imperia e portato allo scioglimento del Comune di Bordighera, molti politici che frequentavano il suo locale, il ristorante Le Volte, sarebbero scomparsi: «Non so se mi capite, quando ha fatto il pranzo Boscetto (senatore, Pdl), quando è venuto Scajola, quando è venuto Saso, la Barabino (Cristina, assessore provinciale del centrodestra, ndr), c’erano anche loro! Avete capito voi e la gente non son venute più …».
E questi non sono che alcuni dei nomi di politici più o meno importanti, a livello locale e nazionale che compaiono nell`ordinanza. Ma tutti sembrano compiacenti vittime di quel sistema che ha portato un`albergatrice, di Vallecrosia, ad affermare: «Don Peppino è un mafioso al quale bisogna portare rispetto. Quando, nel 2003, arrivai da Bordighera a Vallecrosia, mi dissero che potevo fare tutto ciò che volevo, ma l`unico obbligo che avevo era di portare rispetto a don Peppino».
Non mancavano le sponde a sinistra: «Vedi che l’altro giorno è venuto con abbiamo parlato con Marco Bertaina (candidato alle regionali con la lista civica che appoggiava Claudio Burlando, ndr)… Io ci sto dietro, forse dovrebbero prendere un lavoro Dolceacqua… Poi della Docks Lanterna». Quest’ultima è una ditta di Mauro Mannini, imprenditore genovese che gestisce i rifiuti di Sanremo. Ha un inquilino che non se ne vuole andare di casa e lui a chi si rivolge? All’ufficiale giudiziario? Macchè: «L’estate passata mi mandò a dire che rivoleva l’appartamento occupato», racconta ancora don Peppino, arbitro del bene e del male. Detto fatto, problema risolto. E quando qualcuno alza la voce contro le mafie, è il caso del consigliere regionale Sergio Scibilia (Pd), è un parente, lo zio Giovanbattista, a scusarsi a nome suo non senza qualche imbarazzo: «Ha chiacchierato di nuovo. Io gli dicevo “piantala”…».
A proposito di Sanremo, nelle intercettazioni compare anche il nome del sindaco Maurizio Zoccarato, «uno bravo con cui puoi discutere», «della nostra famiglia». Anche se, sottolinea il gip Massimo Cusatti, «non sono stati acquisiti riscontri di contatti tra il politico e i soggetti appartenenti al locale di Ventimiglia». E il riferimento «familiare» potrebbe essere dovuto al fatto che il nipote di Marcianò «lavora nel concessionario di Zoccarato».
Avrebbe avuto come confidente anche il direttore di filiale di una nota banca di Vallecrosia (Imperia) Giuseppe “Peppino” Marcianò, 79 anni, considerato il capo della “locale” di Ventimiglia della `ndrangheta. E` quanto emerge dalle circa cinquecento pagine della misura cautelare, a margine della quale ieri gli uomini della Dda di Genova hanno arrestato 15 persone (13 gli indagati in stato di libertà) ritenute appartenenti alla criminalità organizzata.
C`è, in particolare, un`intercettazione ambientale in auto, del 26 giugno 2011, in cui il boss Marcianò racconta al nipote Vincenzo, che il direttore gli ha detto di non farsi vedere per almeno sei mesi, confidandogli anche che gli inquirenti hanno voluto accedere al suo conto corrente. Il 30 luglio del 2011, “Peppino” annuncia allo stesso nipote (in un`altra intercettazione ambientale) che il direttore era stato «con rammarico» trasferito.

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