Omicidio Bruciafreddo, ergastolo per Nino Perla
REGGIO CALABRIA È stato il ventiduenne Nino Perla a uccidere Eduardo Bruciafreddo, assassinato sull’uscio di casa il 3 agosto 2010, a Ravagnese, e per questo deve pagare con il carcere a vita. La Cor…

REGGIO CALABRIA È stato il ventiduenne Nino Perla a uccidere Eduardo Bruciafreddo, assassinato sull’uscio di casa il 3 agosto 2010, a Ravagnese, e per questo deve pagare con il carcere a vita. La Corte d’Assise, presieduta dal giudice Vincenzo Pedone, ha deciso di accogliere la richiesta del pm Antonella Crisafulli, punendo con la massima pena l`omicidio del giovane della periferia sud di Reggio Calabria.
Una sentenza accolta tra urla, pianti e insulti dai parenti di Perla, che dalla gabbia, quasi impassibile, si è limitato a guardare il giudice che lo ha condannato all`ergastolo.
Una pena durissima per un delitto efferato che il giovanissimo sicario, figlio di un uomo “di rispetto” di Reggio Sud – quel Matteo, detto Giorgio, coinvolto nell’operazione “Alta tensione” – ha commesso – è emerso in istruttoria – per motivi più che futili: una gomitata che urta un bicchiere, un cocktail che cade, una lite, gli schiaffi, lo “sgarro” di essere umiliato in pubblico davanti al locale il “Gatto matto”, noto ritrovo dei giovanissimi in pieno centro città.
Questo l’affronto che Nino Perla ha voluto lavare con quell’omicidio, che già il gip nell`ordinanza di custodia cautelare che ha mandato il giovanissimo sicario dietro le sbarre sottolineava con parole lapidarie: «La sproporzione assoluta tra la causa e l’effetto, ossia tra un litigio originato da motivi di scarso spessore e l’uccisione di un uomo è talmente eclatante da risultare sintomatica di una personalità dominata da una scala di valori che è propria di un ambiente malavitoso e che contrasta insanabilmente con le regole dello Stato e dell’agire civile. Tali considerazioni servono a sottolineare la particolare riprovevolezza morale e sociale della spinta al delitto».
A inchiodare il giovane killer, la determinante testimonianza del fratello della vittima, Maurizio Bruciafreddo, che dopo un’iniziale ritrosia – giustificata con l’intenzione di vendicarsi – ha steso fiumi di verbali di fronte agli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria.
Una testimonianza contestata dai parenti del giovanissimo killer che oggi durante e dopo la lettura della sentenza urlano all`indirizzo dei giudici: «Bastardi, avete creduto alle parole di un drogato. Avete rovinato un innocente per le parole di un drogato».
«Voglio sapere se riuscirete a dormire tranquilli dopo aver condannato all`ergastolo un innocente», grida fra le lacrime una donna.
Una sentenza forse già scritta nella testimonianza dettagliata del fratello della vittima, che di fronte a inquirenti e investigatori ha ricostruito passo passo quella tragica notte del tre agosto 2010. «La sera dell’omicidio mi trovavo in compagnia di mio fratello Eduardo e precisamente in cucina. Ricordo che stavamo sorseggiando una birra quando, dopo circa 15-30 minuti dalla fine del cartone animato dei “Simpson”, dunque intorno alle 21.15, è suonato il campanello di casa. Eduardo si è affacciato al balcone di casa e, in risposta alla mia richiesta di chi fosse, mi ha fatto segno di lasciar perdere che si sarebbe occupato lui della vicenda».
È una testimonianza precisa e dettagliata, quasi marchiata a fuoco nella mente del ragazzo che ricorda – momento per momento – cosa sia successo quella sera: «Si è diretto verso la porta d’ingresso dell’appartamento dopo aver chiuso alle sue spalle la porta della cucina e, dopo due-tre secondi, ho sentito il primo sparo e, d’istinto, mi sono alzato verso il corridoio. Nel frattempo venivano sparati altri due colpi. Aprendo la porta della cucina mi sono trovato di fronte Eduardo che si teneva il collo con una mano e si manteneva ancora in piedi. Ho chiesto a mio fratello chi avesse sparato ma non ho ottenuto risposta poiché Eduardo non ce la faceva a parlare. A quel punto ho provveduto ad appoggiare mio fratello contro l’angolo cottura della cucina e sono corso giù per le scale dello stabile».
Una sequenza dettagliata, rimasta vivida e precisa nella memoria di Maurizio Bruciafreddo: «Mentre scendevo di corsa le scale ho sentito il portone chiudersi. Effettivamente, giunto sul pianerottolo, avevo necessità di girare la maniglia e uscire in strada. Istintivamente mi voltavo dapprima verso sinistra senza notare la presenza di alcuno, successivamente verso destra, cioè verso il punto in cui il mio palazzo dà ad angolo con la stradina che scende verso il vicino vallone dove si trova il torrente. Percorsi pochi metri, notavo la presenza di un soggetto di sesso maschile, dell’apparente età di circa 20-25 anni, alto circa 1.70 metri, ben piazzato fisicamente, vestito di nero e con capelli neri a punta, cioè cosparsi di gel. Ho notato che lo stesso camminava con andamento molleggiato, tipico di chi avesse assunto sostanze stupefacenti. Preciso che ho avuto modo di osservare questo giovane da due angolazioni, prima di fianco e poi di spalle e l’ho riconosciuto per Nino Perla, figlio di Giorgio».
Parole che il ragazzo ha ripetuto tanto davanti agli inquirenti, come in aula, mentre è nelle stanze del carcere di Reggio che il ragazzo ha riconosciuto senza difficoltà Nino Perla, nel corso di un incidente probatorio chiesto e ottenuto dal sostituto procuratore.
Un’identificazione determinante e che invano gli avvocati Francesco Calabrese e Carlo Morace, difensori di Perla, hanno tentato di smontare sostenendo l’impossibilità di riconoscere l’omicida nei momenti di concitazione seguiti al delitto. Argomentazioni che non hanno però convinto i giudici che hanno condannato il giovane killer alla pena del carcere a vita. (0010)