Reggio, si cerca la verità sulla morte di Madalina
REGGIO CALABRIA Non si fermano le indagini sulla morte di Madalina Pavlov, la ventunenne ritrovata senza vita lo scorso 21 settembre in una via del centro borghese e residenziale di Reggio Calabria…

REGGIO CALABRIA Non si fermano le indagini sulla morte di Madalina Pavlov, la ventunenne ritrovata senza vita lo scorso 21 settembre in una via del centro borghese e residenziale di Reggio Calabria. Nonostante la morte della ragazza sia stata da subito classificata come suicidio – Madalina si sarebbe lanciata da uno dei palazzotti di via Bruno Buozzi – le indagini proseguono, anche su pressione della famiglia che non si è mai rassegnata a tale ipotesi. «Era una ragazza piena di vita, con dei programmi e dei progetti – dicono amici e parenti – non si sarebbe mai e poi mai suicidata. Non era da lei».
Questa mattina ingegneri e tecnici sono tornati su quella terrazza di via Bruno Buozzi dalla quale la ragazza secondo alcune ipotesi si sarebbe lanciata. O forse no. Come tanti palazzi del centro città, il terrazzo del civico 5f, non affaccia direttamente su strada, ma un parapetto chiaramente visibile lo divide da un largo corridoio senza ringhiere che si sporge fino a raggiungere il livello dei balconi. Per lanciarsi di sotto, Madalina avrebbe dovuto scavalcare o saltare quel muretto, quindi fare ancora almeno un passo e lanciarsi nel vuoto. Dinamiche adesso al vaglio dei tecnici, che dovranno verificarne la compatibilità con le lesioni riportate dalla ragazza, per accertare se è davvero da quella terrazza che Madalina è andata incontro alla morte.
Ed è proprio per vagliare tale ipotesi che sono stati prelevati tre campioni dello strato di impermeabilizzazione che ricopre il terrazzo e che – se davvero la ragazza è stata lassù – dovrebbe essere rimasto sotto le sue scarpe. “Una prova del nove” per il criminologo Ezio Denti, oggi presente alle nuove misurazioni, incaricato dalla sorella di Madalina, Elena Pavlov, di svolgere degli approfondimenti investigativi paralleli a quelli che sta portando avanti la Procura.
Fra due settimane invece, si procederà alle prove di carico sulla 126 che la ragazza avrebbe urtato nella caduta, per ricostruire le modalità dell’impatto e la potenziale dinamica della caduta. Tutti accertamenti che fino ad oggi non è stato possibile eseguire perché in mancanza della vettura originale – dopo il dissequestro, rapidamente rottamata dal proprietario – è stato necessario reperire un’auto identica per anno, modello e colore. Si tratta di dati necessari per avere qualche particolare in più sugli ultimi istanti di vita della ragazza, collocandola o meno, con un certo grado di certezza, sulla terrazza di quel palazzo con cui Madalina – che abitava e frequentava tutt’altra zona della città – non aveva nulla a che fare, ma dal quale avrebbe inspiegabilmente scelto di porre fine alla sua vita.
E in proposito, intatto rimane il mistero su come Madalina sia riuscita ad entrare. Addosso non le sono state trovate chiavi del portone, mentre su quelle che permettono di accedere alla terrazza esistono verbali contrastanti che raccontano realtà diverse. Secondo alcune carte, quella chiave sarebbe stata trovata al sesto piano di via Buozzi, secondo altre invece, sarebbe stata ritrovata sotto il corpo di Madalina. Un dettaglio che cambia radicalmente il quadro ancora oscuro di questa vicenda. «Si tratta di un elemento importante e che è importante che venga chiarito. Allo stesso modo, mi auguro che la procura abbia proceduto alle perizie dattiloscopiche sulla chiave e sullo scotch che ricopriva la maniglia della porta d’accesso alla terrazza. Sono dati essenziali per capire se la ragazza è mai stata lì», sottolinea Denti, da qualche settimana impegnato nelle nuove indagini, parallele a quelle ufficiali, sulla morte della ventunenne.
«Alla luce degli elementi che fino ad ora ho raccolto – commenta il criminologo – l’ipotesi di istigazione al suicidio per cui la Procura sta procedendo, c’è tutta. Basta osservare quel palazzo di via Buozzi per capire che se davvero qualcuno avesse scelto di suicidarsi, non sceglierebbe un luogo come quello, e soprattutto non si lancerebbe verso la strada, quanto piuttosto verso i cortili interni. Non si spiega poi, come Madalina possa essere entrata, posto che la chiave del portone non è stata trovata in dotazione della vittima. Tutti elementi che fanno pensare che ci sia un secondo soggetto che l’abbia invitata o spinta ad entrare e le abbia aperto il portone». Note stonate che sono subito saltate all’occhio del criminologo, divenuto noto per il contributo dato alla soluzione di diversi casi balzati agli onori delle cronache, che sottolinea «è difficile pensare che la ragazza sia entrata in un palazzo che non conosceva solo per suicidarsi».
Un palazzo “delicato”, incastrato nel cuore residenziale della Reggio bene, di cui però solo alcuni appartamenti sono abitati. Ma nessuno degli inquilini – un noto ginecologo e due “funzionari dello Stato”, dicono fonti vicine alle famiglie – quella sera del 21 settembre, con l’estate alle porte solo sulla carta e le finestre presumibilmente aperte alla ricerca di impossibile refrigerio nel caldo torrido reggino, avrebbe visto o sentito nulla. Eppure, stando alle prime ricostruzioni degli inquirenti la ragazza sarebbe volata giù non più tardi delle venti e trenta. Un orario in cui si è svegli e vigili, seduti a tavola o davanti al tg della sera. Ma nessuno di quanti abitano in quel palazzo sembra essersi reso conto di quanto stesse accadendo, pochi o solo un piano più in su.
Tutti elementi che sembrano essere confluiti nel fascicolo riservatissimo che il pm Teodoro Catananti conserva gelosamente sulla sua scrivania e sembra essere solo nella sua “stretta disponibilità”. Una circostanza – ci tiene a sottolineare Denti – che «probabilmente sta ad indicare che ci sono elementi riservati su cui si sta ancora indagando, ma soprattutto testimonia l’estremo scrupolo con cui si sta procedendo per l’accertamento della verità».