Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 13:05
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 9 minuti
Cambia colore:
 

Processo Minotauro, chieste 74 condanne

TORINO «La magistratura, occupandosi di `ndrangheta, ha scritto pagine gloriose ma ha anche commesso errori di valutazione spaventosi». Ha esordito così il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, n…

Pubblicato il: 03/07/2013 – 19:35
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Processo Minotauro, chieste 74 condanne

TORINO «La magistratura, occupandosi di `ndrangheta, ha scritto pagine gloriose ma ha anche commesso errori di valutazione spaventosi».
Ha esordito così il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, nel corso della requisitoria iniziata la settimana scorsa nell`aula bunker del capoluogo piemontese e conclusa oggi dai suoi sostituti che hanno rappresentato l`accusa nel processo “Minotauro” nato da un`inchiesta grazie alla quale i magistrati hanno fatto luce sul cosiddetto “infeudamento” del nord Italia e sulle infiltrazioni della `ndrangheta.
Complessivamente sono state chieste 74 condanne – la più alta delle quali a 22 anni di carcere – e un`assoluzione. Per l`unico politico sul banco degli imputali, l`ex sindaco di Leinì, Nevio Coral, i pm di Torino hanno chiesto 10 anni di reclusione.
A formulare le richieste, nell`aula bunker delle Vallette, è stato il procuratore aggiunto Sandro Ausiello, affiancato dal procuratore capo Giancarlo Caselli e da alcuni dei numerosi magistrati dell`ufficio (Roberto Sparagna, Monica Abbatecola, Enrico Arnaldi di Balme, Stefano Castellani, Giuseppe Riccaboni) che hanno sostenuto l`accusa nel corso del dibattimento. L`inchiesta Minotauro, sfociata nel 2011 in 150 arresti, si riferisce all`attività di nove “locali” di `ndrangheta a Torino e nel circondario e ai tentativi di condizionare la vita politica e imprenditoriale piemontese. Metà degli imputati è stata già giudicata con il rito abbreviato.
Il procuratore Caselli, nella sua requisitoria, ha puntato l`indice contro l`assunto “la mafia non esiste” a volte riportato anche in alcune sentenze: «È una bestemmia dura a morire, riecheggiata anche in quest`aula, quando il pm Sparagna (dopo aver elencato tutte le prove a carico dell`imputato Rosario Marando, ndr) ha ricordato che proprio costui vorrebbe che la `ndrangheta fosse considerata acqua e non benzina. Bestemmia che è alla base dell`infinita sequenza di assoluzioni che ha caratterizzato una lunghissima stagione di processi di mafia. Bestemmia che ha sostenuto, ovviamente con diverse declinazioni, il patto di coabitazione che per certi profili ha caratterizzato tutti i successivi contesti economici e istituzionali della nostra storia».
«Ancora oggi – ha aggiunto Caselli – ci sono persone che ragionano in termini tali dal far ricordare quella bestemmia. Anche a fronte dell`articolo 416 bis del codice penale (introdotto nel 1982 nell’ordinamento proprio per sanzionare la mafia in quanto associazione, ndr): così da escludere in radice la possibilità di concezioni negazioniste della mafia; offrendo nel contempo uno strumento efficace di lotta alla mafia».
E rivolgendosi alla Tribunale: «Noi chiediamo a questo collegio che anche in questo processo si faccia un`applicazione corretta, non negazionista, dell`articolo 416 bis: affermando che la mafia esiste e utilizzando lo strumento principe per combatterla (il reato associativo, ndr) secondo le potenzialità che la legge ha voluto riconnettervi. L`assunto che il pm si propone di dimostrare si può così riassumere. Lo specifico della associazione mafiosa è l`intreccio fra gangsterismo e cosiddette “relazioni esterne”, vale a dire coperture e complicità derivanti dal reticolo di interessi che i mafiosi sistematicamente cercano (spesso riuscendovi) di tessere. Nessuna banda di gangster al mondo sopravvive oltre 40/50 anni. Se le mafie infestano il nostro Paese da oltre due secoli, vuol dire che sono sì gangster, ma anche qualcos`altro. Questo qualcos`altro sono appunto le “relazioni esterne”, vero nerbo, vera spina dorsale del potere mafioso».
Il procuratore Caselli bacchetta, inoltre, chi ancora oggi stenta a credere che la `ndrangheta, seppur nata in Calabria, ormai è un`associazione mafiosa cha ha “colonizzato” anche il Settentrione: «È inconcepibile, è inspiegabile che ci si stupisca davanti alla espansione della mafia soprattutto nel Nord Italia. C`è solo da prenderne atto e cercare di contrastarla con gli strumenti di cui (in nome del ripristino della legalità) disponiamo. Insomma: guai a stupirsi se l`acqua bagna. Piuttosto bisogna attrezzarsi e aprire l`ombrello. Quell`ombrello che in trent`anni pochissimi hanno aperto, soprattutto tra i politici e gli amministratori, ma anche nel mondo dell`informazione. E dire che campanelli d`allarme ne sono risuonati parecchi, forti e chiari».
Il riferimento è alle relazioni delle delle commissioni antimafia presiedute da Carlo Smuraglia (1994) e Francesco Forgione (nel biennio 2006-2008) che aveva scritto «pagine robuste, motivate con rigore, sulla presenza della `ndrangheta al Nord, in Piemonte, e sull`intreccio torbido delle cosche con pezzi dell`amministrazione e della politica».
Una relazione che provocò tantissime polemiche, ricorda Caselli, «contro Forgione, accusato – anche da pulpiti istituzionalmente autorevoli e prestigiosi, in Piemonte – di essere un provocatore, se non proprio un calunniatore. Tutto questo cosa significa? Significa una scarsissima sensibilità di gran parte del ceto politico – anche di quello che ha responsabilità di governo, centrale o locale –, di gran parte del ceto intellettuale e delle agenzie di formazione e informazione verso una emergenza che ha talmente attecchito nel territorio da non poter più essere considerata una “emergenza”, essendo purtroppo una realtà consolidata. Sono mancate decisioni e azioni adeguate».
Rivolgendosi ai giudici che dovranno emettere la sentenza, il procuratore Giancarlo Caselli ha ricordato che «oggi abbiamo il dovere di affrontare il problema anche in questa sede, consapevoli delle sue dimensioni e dei nostri ritardi. In Piemonte con speciale attenzione, sensibilità e responsabilità. Perché è stato proprio a Torino, esattamente 30 anni fa, il 26 giugno 1983, che la‘ndrangheta ha ucciso Bruno Caccia, il procuratore capo della Repubblica. Perché negli anni precedenti, dal 1970 al 1983, in provincia di Torino, sono state registrate 44 uccisioni, 24 di origine calabrese, nel segno della criminalità organizzata. E ancora: perché è sempre in Piemonte che si vede sciogliere per `ndrangheta il primo consiglio comunale in Italia, ed è Bardonecchia nel 1995. E poi ci sono le robuste inchieste, rigorose e ben documentate, coordinate e dirette dalla Procura distrettuale antimafia di Torino negli anni `80 e `90. Impossibile non sapere». «Perché – si domanda Caselli – allora la diffusa mancanza di consapevolezza da parte della classe dirigente in Piemonte? Perché la magistratura è stata lasciata sola? Perché non c`è stato dibattito per arrivare a una generale presa di coscienza della gravità della situazione? Per ignoranza, per miopia, per impreparazione, per sottovalutazione superficiale? O per una sorta di distacco aristocratico della gente del Nord (con qualche venatura di razzismo), che ha ostacolato l`impegno contro una criminalità che si pensava “esclusiva” dell’arretrato Sud?». Il procuratore a questi quesiti risponde «Un po’per tutti questi motivi, le porte per l`ingresso della `ndrangheta al Nord sono rimaste spalancate. Di fatto se ne è favorito l`insediamento. Per altro con il decisivo contributo di un fattore che sempre opera quando la mafia agisce in territori nuovi, non tradizionali: la sua capacità di ibridarsi, di mimetizzarsi, di sforzarsi in ogni modo per non essere avvertita come pericolo presente. Non vedo perché non voglio vedere o perché sono “miope”, ma la cecità e la miopia sono “coltivate” dalla mafia facendo di tutto, sistematicamente, programmaticamente, ontologicamente per mimetizzarsi. E magari intorno a questa “mimetizzazione” si costruiscono comodi alibi per giustificare la nostra “disattenzione”, anche nel perimetro delle responsabilità giudiziarie».
Quella di Caselli non è solo una requisitoria, ma una lezione sulla `ndrangheta e sull`insensibilità degli amministratori piemontesi: «Per espandersi i mafiosi hanno usato molto quella componente strutturale dell’associazione che possiamo definire “forza rel azionale”, cioè la costante ricerca e costruzione di rapporti stretti con personaggi di rilievo in vari settori della pubblica amministrazione e della politica, del mondo degli affari e della finanza. È stato scritto, e condivido, che la `ndgrangheta cresce per “gemmazione”: riproduce nuclei operativi in tutti i territori di espansione (Piemonte, ndr). Questi nuclei tracciano un loro percorso criminale autonomo, ma nello stesso tempo mantengono legami indissolubili con terra d`origine (Calabria, ndr). Da questo vincolo traggono legittimazione e autorevolezza, altrimenti – come ebbe a dire un pentito – “sarebbero zattere in mezzo all’oceano”. È sempre più difficile distinguere il bianco dal nero, perché dilaga il grigio. Tutto ciò esige una magistratura sempre più attrezzata professionalmente e soprattutto una magistratura sempre più indipendente. La zona grigia è formata da fiancheggiatori più o meno consapevoli del reale profilo criminale dei loro interlocutori. Per realizzare i loro affari i mafiosi hanno sempre più bisogno di “esperti”: ragionieri, commercialisti, immobiliaristi, operatori finanziari e bancari, notai, avvocati, politici, amministratori, uomini delle istituzioni, purtroppo, magistrati compresi: la cosiddetta borghesia mafiosa. Si infittiscono gli intrecci con pezzi del mondo politico e dei “colletti bianchi”».
E a proposito dei pezzi del mondo politico e dei colletti bianchi, l`ultima parte della requisitoria di Caselli è dedicata a Salvatore De Masi, detto Giorgio, e al sindaco di Leinì, Nevio Coral.
Il primo, «originario di Mardone, cognato del superlatitante Giuseppe Giorgi alias “u Capra”, coniugato con la figlia del boss Sebastiano Romeo detto “u Staccu” di San Luca, ama intrattenere cordiali, amichevoli relazioni con vari personaggi, anche di spicco, del mondo politico-amministrativo».
Tra questi: il sindaco di Rivarolo Canavese (Comune sciolto per mafia) Fabrizio Bertot, attualmente parlamentare europeo; il parlamentare di Idv e componente della commissione Lavoro Gaetano Porcino; il consigliere regionale del Pd Antonino Boeti; l`assessore del Comune di Alpignano Carmelo Tromby; il sindaco di Cirié Francesco Falleti Brizio, il consigliere comunale del Comune di Torino, Giovanni Porcino e il parlamentare del Pd Domenico Lucà.
È proprio quest`ultimo – ricorda il procuratore Caselli – che il 21 febbraio 2011«chiama De Masi. Gli comunica che, in occasione delle “primarie”, previste a Torino per il giorno 27 febbraio 2011, avrebbe sostenuto Piero Fassino. Gli chiede di utilizzare le sue conoscenze a Torino per procurargli voti. Il De Masi dice di avere più di un amico e che “gli facciamo votare Fassino”».
Un capitolo a parte è la posizione del sindaco Nevio Coral per il quale il procuratore ha ricordato «il groviglio perverso di favori scambiati, interessi comuni, collusioni, coperture e complicità. Nevio Coral avrà la pena che si merita. Ma per concludere dobbiamo porci una domanda che colpisce il centro del problema. Chi paga il prezzo di queste cose? Pagano cittadini e consumatori… perché abbiamo organismi elettivi disonesti, perché la regolarità mercati è stravolta… oltre a dover vivere in un ambiente pervaso di corruzione, intimidazione fino alla violenza».
«È indispensabile – ha concluso Caselli ricordando le risultanze processuali “che ci sembrano chiare, incontestabili e univoche”– riaffermare la presenza dello Stato». (0090)

Argomenti
Categorie collegate

x

x