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Il cuore (calabro) di Sisca

Ue paisà ci sono trùbbele? Spesso in cerca di problemi (trouble), spesso con un po` di oppio o alcol in corpo nonostante il proibizionismo, ancora più spesso con la rabbia di chi cerca una «giobba»…

Pubblicato il: 16/01/2014 – 12:27
Il cuore (calabro) di Sisca

Ue paisà ci sono trùbbele? Spesso in cerca di problemi (trouble), spesso con un po` di oppio o alcol in corpo nonostante il proibizionismo, ancora più spesso con la rabbia di chi cerca una «giobba», un lavoro, per fare «bisinìs», affari, ma viene scartato perché è un «tony», un italiano. E magari comunista. Altro che «drimilando», altro che dreamland: perché nel mondo dei sogni negati risuona la musica di casa, le parole delle origini, quelle che è impossibile storpiare e che facevano da balsamo alle tante Little Italy d`oltreoceano. Ma nella New York d`inizio Novecento non è detto che tutti i campani (e men che meno i calabresi) trapiantati, anzi estirpati, sapessero che uno dei loro balsami preferiti – “Core `ngrato” –, capolavoro della musica tradizionale napoletana, avesse un “papà” cosentino e non partenopeo, com`era più facile presumere. Si chiamava Alessandro Sisca ma passò alla storia come Riccardo Cordiferro. Una personalità multiforme, inserita da outsider nel pantheon tutto napoletano raccolto diligentemente da Francesco Durante in “Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti. La scena di Little Italy”?(Tullio Pironti editore), in libreria dall`11 settembre scorso.
Accanto alle «pulcinellate» di Francesco Ricciardi, alle macchiette e alle farse di Farfariello e di Nofrio, alle poesie di Rodolfo Valentino e alle tante canzoni ispirate alla vita degli emigranti, ecco spuntare Cordiferro: “Core `ngrato”, composta nel 1911 e musicata da Salvatore Cardillo, viene cantata da oltre un secolo, da Caruso a Bocelli passando per il trio Pavarotti-Carreras-Domingo, ed è tuttora un successo planetario. Uno di quei pezzi senza tempo.
Alessandro Sisca (1875-1940) nacque a San Pietro in Guarano, nel cuore della Presila cosentina, da papà calabrese e mamma napoletana. Come scrive Amelia Paparazzo in “Calabresi sovversivi” (Rubbettino, pag. 84 e sgg.), appena 11enne lasciò il Collegio di San Raffaele a Materdei di Napoli – dove il padre s`era trasferito per lavorare come segretario comunale – visto che «espresse ben presto idee contrarie alla religione e fu perciò espulso. A Napoli continuò a studiare da autodidatta e iniziò a firmare le prime poesie come “Riccardo Cordiferro” – nomignolo ispirato al romanzo “Ivanohe” di Walter Scott –, vedendole pubblicate su riviste letterarie. Nel frattempo, ancora giovanissimo – è sempre la Paparazzo a ricostruire la sua formazione politica “sovversiva” – viene «in contatto con intellettuali radicali del calibro di Giovanni Bovio, Arturo Labriola e Matteo Renato Imbriani (…). Delle idee rivoluzionarie di fine Ottocento assorbì soprattutto la tradizione libertaria del post-risorgimento: l`antistatalismo, l`anticlericalismo, e l`intolleranza nei confronti dell`autorità in tutte le sue forme». La docente Unical riporta al riguardo una dichiarazione a “La sentinella” nel 1930: «Io non conosco cosa sia la disciplina, l`ordine, l`ubbidienza… Io non ho padroni, non servo nessuno, non riconosco l`autorità di nessun capo».  
Oggi, la sua verve artistica prima che politica finisce di diritto nella “collezione” di Durante, «unica per rigore e completezza», come?hanno scritto i critici, che riporta le vicende personali e i testi ritrovati,?sorprendenti e spesso irresistibili, di 22 autori che fecero l’America. “Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti” è la nuova edizione in più volumi, ampliata e aggiornata, di “Italoamericana”, un`opera di oltre 1700 pagine che, edita da Mondadori nel 2001 e nel 2005, fu salutata a suo tempo come «una bomba atomica nel campo degli studi italoamericani» (Robert Viscusi) e ancora oggi resta, a livello mondiale, l’unico repertorio completo della «civiltà letteraria fiorita in quella specie di vago “altrove” che furono, nei decenni della grande emigrazione otto-novecentesca, le numerose Little Italy d’America» (furono 5 milioni gli italiani che arrivarono negli States tra il 1880 e il 1920).?
Facendo risuonare la lingua naif e comica, a tratti tenera, dei nostri connazionali che per farsi accettare cadevano spesso negli errori di un cockney lontanissimo dall`originale («Brucculino» e «Cunailando» erano ad esempio Brooklyn e Coney Island), Durante si concentra sulle “Altre canzoni e macchiette di Little Italy”, sulla letteratura prodotta dentro e intorno ai teatrini e ai café chantant «e non di rado – si legge nella presentazione del libro – affidata a una lingua selvatica e inaudita, irresistibilmente espressiva, che era il risultato della contaminazione dell’americano con la pronuncia e il lessico dei dialetti d’Italia, specialmente quelli meridionali».
Dopo anni di studi e ricerche, Durante – docente di Cultura e letteratura degli italiani d’America all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e uno dei massimi specialisti nel campo degli studi italoamericani, oltre che traduttore di sette libri di John Fante e curatore del Meridiano Mondadori dedicato ai suoi romanzi e racconti (2003) – ha aggregato l`enorme messe di materiali custoditi in decine di biblioteche e archivi sulle due sponde dell’oceano Atlantico aggiungendone di nuovi e colmando molte delle lacune documentali che ancora caratterizzavano la prima edizione del suo pionieristico lavoro.
Una raccolta di materiale per lo più cartaceo (corrispondenza, appunti vari, poesie e racconti accanto alle lettere che il fratello Marziale scrisse a immigrati di successo come il sindaco Fiorello La Guardia e il tenore Enrico Caruso oltre che ai presidenti Usa Taft ed Eisenhower) si trova all`Immigration history research center – College of liberal arts, University of Minnesota. Sono le carte che ricostruiscono l`attività di Sisca negli States. Collaboratore de “La questione sociale”, il giornale degli anarchici del New Jersey, il sanpietrese prese posizione nella vicenda di Sacco e Vanzetti, per la sua militanza socialista fu anche incarcerato e, da giornalista, fondò testate seguitissime come la satirica “La follia” (nel 1896 ha venti edizioni e vende 60mila copie, mentre nel 1914, a undici anni dalla nascita, la diffusione tra gli italoamericani si era attestata attorno ai 4 milioni di copie) e scrisse spesso con un nom de plume su pubblicazioni semi-clandestine come “La sedia elettrica”, “La notizia” e “The haarlemite”. L`attività giornalistica fa di fatto il paio con la produzione letteraria: se “La follia” aveva come bersaglio preferito «banchieri disonesti, medici ciarlatani e sedicenti padroni» (ancora Paparazzo), trasposto sul piano letterario e teatrale il successo di Sisca-Cordiferro fu dovuto ai temi trattati e alla veemenza delle invettive rivolte agli «oppressori degli immigrati – il boss, il banchiere, il prete – che erano inevitabilmente farabutti e imbroglioni mentre il povero lavoratore diveniva il vero e unico eroe». Al netto della semplificazione della “fabula” edificante e del messaggio didascalico, pièce come il monologo sociale in endecasillabi sciolti “Il pezzente” (1896) offrono ai “dago” – gli italiani per come venivano additati e derisi al loro arrivo a Ellis Island – un messaggio di riscatto e in un certo senso di speranza di affrancarsi da una posizione di minorità e isolamento. La Paparazzo parla di una fiorente scena newyorchese composta da «filodrammatiche rosse» che – raramente in teatri comunali presi in fitto, più spesso in «circoli letterari i politici» o «durante feste all`aperto» – drammatizzavano il conflitto sociale ma spesso scadevano nella retorica o nel macchiettismo, spingendo al massimo l`impronta verista degli “ultimi” che finalmente avevano voce. Il pezzente, imprigionato per il solo fatto di urlare al mondo la sua povertà, è un simbolo delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali generate dal capitalismo. Il pubblico che variava da 500 a 2000 spettatori rappresentava, per l`establishment politico, un pericoloso incubatore di malumori che potevano sfociare in rivolta. Di fatt
o, era quello un teatro “civile” ante litteram, e comunque figlio, a sua volta, della commedia classica che prendeva di mira i potenti (dai latini Fescennini e Atellane alle commedie di Plauto e Aristofane).
Consumi culturali “bassi” (ma oggi elevati al rango di produzione alta, proprio grazie a sillogi come quella firmata da Durante) di cui si parla anche nel saggio di Luc Sante “C`era una volta New York – Storia e leggenda dei bassifondi” (Alet, 2010), pietra miliare del genere e non a caso usato da Martin Scorsese come fonte primaria per il suo “Gangs of New York”: il libro racconta la Grande Mela del divario ricchissimi-poverissimi tra Ottocento e Novecento, l`oppio e i saloon, le prostitute e i mendicanti, l`azzardo e i primi cinema, i quartieri malfamati e la fervida attività dei teatri. Catini in legno a perenne rischio incendio ma che vantavano, visti i numeri, rubriche ad hoc sui giornali, i cosiddetti “Resoconti” con incassi, pubblico e biglietti venduti: colonnine lettissime, che oggi rappresentano una mappatura dei teatri off della Bowery, prima che di Broadway.
Quella di Sisca è la stessa New York nella quale si muove Michele Pane, calabrese di Decollatura, sovversivo e letterato, poeta dialettale che lì fondò e diresse giornali (“Il lupo”) e pubblicò libri come “Peccati” (1917) e “Garibaldina” (1949), prima di morire a Chicago nel 1953. Erano i “Rossi a Manhattan” di cui parla Eric Salerno, padre calabrese emigrato per fuggire dal regime fascista, nel libro omonimo edito quest`anno dal Saggiatore: quante volte il papà Michele e la mamma Elizabeth Esbinsky, ebrea russa scappata ai pogrom, avranno pianto ascoltando “Core `ngrato”. Chissà se sapevano che Cordiferro altri non era che un Sisca di San Pietro in Guarano, il paesino attaccato a quel Castiglione Cosentino che Salerno aveva dovuto lasciare, inseguendo una «giobba» e il sogno americano. (0070)

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