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"Minotauro", «indubbia la responsabilità di Coral»

TORINO «La risposta fornita dagli atti di causa non lascia spazio a dubbi in ordine alla sussistenza della responsabilità» di Nevio Coral, ex sindaco di Leinì condannato lo scorso 22 novembre a dieci…

Pubblicato il: 20/02/2014 – 17:42
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"Minotauro", «indubbia la responsabilità di Coral»

TORINO «La risposta fornita dagli atti di causa non lascia spazio a dubbi in ordine alla sussistenza della responsabilità» di Nevio Coral, ex sindaco di Leinì condannato lo scorso 22 novembre a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo scrivono i giudici della quinta sezione penale del tribunale di Torino nelle motivazioni della sentenza del processo Minotauro sulle infiltrazioni della `ndrangheta in provincia di Torino. Altre 35 persone sono state condannate. La `ndrangheta in Piemonte «non può più ritenersi solo un insieme di “locali” o cosche, ma deve essere considerata struttura unitaria di cui queste sono articolazioni territoriali”. Lo scrivono i giudici della corte del processo Minotauro sulle infiltrazioni dell`associazione criminale in provincia di Torino nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 22 novembre, hanno condannato 36 persone e ne hanno assolte (tutte per accuse minori) altre 38. «Le acquisizioni processuali – aggiungono i magistrati – documentano un`evoluzione in senso verticistico e unitario della `ndrangheta che, pur nella persistente autonomia territoriale, concilia il centralismo delle regole organizzative e dei rituali con il decentramento operativo». «Siffatta trasformazione nella continuità – concludono – dimostra che l`associazione si è adeguata al mutato contesto sociale, anche in relazione ai territori di espansione, riuscendo a coniugare il rispetto delle ataviche tradizioni e regole con le nuove realtà economico-finanziarie».
Se la `ndrangheta in provincia di Torino era consolidata e unitaria, per i giudici del processo Minotauro non ci sono prove, invece, dell`esistenza della “bastarda”, ossia la cellula non ancora riconosciuta da una casa madre in Calabria, e di un “crimine”, ossia un braccio armato e violento unitario di tutta l`organizzazione sull`intero territorio. Entrambe erano state invece ipotizzate dall`accusa nel corso del processo. Tuttavia, la loro mancata esistenza, scrivono, «non incide sull`unitarietà dell`organizzazione stessa». (0050)

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