LUCE SU VIBO | Borrelli: «Una realtà raccapricciante»
«Raccapricciante», il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, si affida a questo unico aggettivo per descrivere il quadro emerso nell`indagine che ha portato all`arresto dell`ex capo de…

«Raccapricciante», il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, si affida a questo unico aggettivo per descrivere il quadro emerso nell`indagine che ha portato all`arresto dell`ex capo della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento, del suo vice Emanuele Rodonò, e dell`avvocato Antonio Carmelo Galati. Una “rete” di relazioni, pazientemente intessuta dall`avvocato, che ha consentito al clan Mancuso di godere di un periodo di impunità, di restaurare il suo potere sul territorio dopo i duri colpi che gli inquirenti gli avevano assestato con le operazioni “Dinasty” e “Do ut des”.
I particolari della delicata indagine sono stati resi noti durante una conferenza stampa cui hanno partecipato il procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, l`aggiunto Giuseppe Borrelli, il capo della Squadra mobile di Catanzaro, Rodolfo Ruperti e il capitano del Ros, Giovanni Migliavacca.
Sono soprattutto le intercettazioni a confermare i rapporti tra i tre personaggi arrestati. Su una in particolare pone l`accento Borrelli, un dialogo telefonico di Emanuele Rodonò che il procuratore aggiunto definisce «una confessione». Rodonò, infatti, quando era già in corso il suo trasferimento, fa intendere di non conoscere proprio i Mancuso, di non conoscere quasi i loro nomi e persino la loro pericolosità sociale. Ma soprattutto riferisce di non aver «potuto fare indagini sui Mancuso per obbligo di fedeltà derivante da amicizia e da vincoli gerarchici».
Eppure, davanti a una realtà così devastante, Borrelli si dice assolutamente ottimista per il futuro: «Saranno tantissimi i cittadini che si rivolgeranno a noi, perché quando lo Stato riesce a fare pulizia al suo interno la popolazione inizia a fidarsi ancora di più delle istituzioni».
Da calabrese, invece, il procuratore Lombardo ricorda come la Calabria sia «terra di infiltrazione, dappertutto. Non sono sicuro che finalmente la gente abbia imparato. Proprio il territorio vibonese era stato duramente colpito dalle indagini della magistratura. Eppure a distanza di dieci anni ritroviamo lo stesso personaggio che era stato già attenzionato nelle precedenti inchieste». Ma anche il procuratore capo lascia aperta la porta alla speranza: «Lo Stato, però, prima o poi il territorio se lo riprende tutto, perché è capace di grandi cose». (0080)